29 nov 2006

Si viaggia per andare a trovare una fidanzata, per andare a vedere un museo, per socialità, per cultura, per ricongiungimento familiare, per incontrare una bionda al bar, per riposarsi, per fare sport estremi, per andare al mare, per farsi una sauna, per andare in montagna, per una scampagnata, per una sciata, per tornare a casa a Natale, per affari, per salvare il mondo, per salvare un povero pinguino, per perdere soldi a un casinò, per scappare da un carnefice, per leggere un libro in lingua originale e su una panchina originale, per guardare le stelle, per fare sesso, per commettere reati, per poi tornare a casa, per non tornare più a casa, per trovare un lavoro, per il silenzio del deserto, per un ginocchio che fa male, per una malattia che ti sta uccidendo, per andare da Dio, per raggiungere un santuario, per scrivere un libro, per sentire un concerto, per scendere due gradini, per salirne settecentocinquatasei, per stringere la mano alla gente per strada, per nascondersi dietro un sasso, per mangiare qualcosa di strano, per bere vino o birra,…
Se non dormi fuori casa neanche una notte non sei un viaggiatore. Sei un escursionista. Sei qualcuno che è tornato indietro troppo presto. Perché alla fine è sempre troppo presto per tornare a casa. C’è sempre qualcuno che aspetta. Ma c’è sempre qualcuno che non aspetta. C’è sempre il silenzio di un telefono che ha smesso di squillare e il frastuono di una chiamata mentre sei seduto a guardare il tempo che passa. A guardare il mondo che gira. A provare per un momento la sensazione che il mondo vada alla rovescia con i piedi al posto della testa.

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