1 nov 2006

St. John Church

L’indirizzo è St. John Church 6701 Wisconsin avenue. O almeno è scritto così. L’appuntamento è alle nove e mezza e ovviamente non c’è nessuno. Faccio il giro della Chiesa. C’è una scuola. Provo ad infilarmi dentro, ma la porta è bloccata. Aspetto, qualcuno uscirà. Un vecchio si stana fuori da solo. Faccio per entrare. Ma mi fa notare che non si può e dovrò aspettare fuori il mio pargoletto. Faccio di sì con il capo e sorrido. Lo lascio credere. Rimango in attesa che svolti l’angolo. Riprovo la porta. Ma è ancora chiusa. Mi viene voglia di provare un codice a caso. Ma proseguo il giro.
Un’altra porta su cui campeggia la scritta Office appare sulla mia strada. Provo anche qua. Ma sono barricati dentro. Un cartello mi invita a suonare e a dire chi sono e che voglio. Busso. “May help you!” Nel mio accento italo e basta dico il mio nome. E poi blatero clots clos (la mia personale traduzione di magazzino di vestiti che mi sembra aver capito chiamino clothes closet). E tutto nella stessa specie di frase bethesda cares. Ottengo delle indicazioni per l’ennesima porta.
Una cosa che ho imparato è che negli stati occidentali i poveri devo sempre scendere un piano o almeno tre gradini.
C’è una scalinata esterna e buia che scende verso l’inferno. Nascosta dietro il parcheggio. Quelle con la muffetta scivolosa sopra. M’infilo là sotto e la porta è chiusa. Vorrei dargli una spallata. Torno su. E faccio finta di niente. Degli school bus si riempiono di ragazzini. Giallo canarino. I bus, non i ragazzini.
Aspetto e arriva una BMW. Vi ricordate il vecchio che giocava carte? L’asso di cuori? Ecco ha una BMW. Insieme a lui arriva un uomo nero alto. Vestito a caso. Mezzo frocio, probabilmente. Oh, scusate. Mi è scappato. Volevo dire. Con una velata tendenza omosessuale. Tanto che io, in perfetto italiano Dantesco, ho pensato. “Namo bene!”
Il nero vecchio mi affida all’altro, il nero frocio. Adesso so che sono razzista. Ma non so come chiamarli. Altra regola. Le persone che non sono della tua stessa tonalità non ti dicono come si chiamano. Comprano una BMW e se ne fottono.
Rimango sotto. Seduto per mezz’ora. A guardare lo spilungone che mette a posto. Altra regola. Le spilungone dice solo. Have a sit. Wait. Oppure parla da solo. Per cui non bisogna tentare di interagire sennò ti guarda per dire. Ma tu che c’entri? Scusate. Dice anche small, medium, large. Pocket e Candy. Qua il suo problema non è che tutto sia in ordine, ma che non ci siano caramelle nelle tasche.
Invece parlare con il vecchio è come tentare di parlare con un contadino ciociaro ubriaco. Mangia fagioli alla dieci di mattina. Non ho capito se è una colazione, un pranzo, un brunch o una merenda. Non lo chiedo, ho paura che me li offra. Li ha versati in una scodella con un liquido non identificato che probabilmente era là da un settimana. Scaldati nella latta e versati alla ben e meglio dentro quella specie di tazzona.
Il lavoro è facile. Prendi una busta. La apri. Se puzza la lasci allo spilungone, se profuma di bucato la frughi. Tutto ha un posto. In ogni busta ci sono cose simili. Perché vengono dalla famiglie. Se c’è un maglione grande. Saranno tutti grandi. Sul concetto di grande bisogna fare una digressione conclusiva.
Dimenticati la parola large. Nessuno di voi ha mai visto un maglione grande come quello che ho visto io. Un maglione da donna. All’inizio ero indeciso tra una veste, una coperta e una vestaglia molto strana. Lo spilungone mi guarda. Woman. Rimango basito. Mi indica chiaramente la zona dei maglioni. Scuoto il capo e lo appendo tra le giacche. Lo spilungone lo prende. One, two, three, four. E lo piega tra i maglioni da donna. Mi appoggio a uno scaffale. Basta così per oggi. È ora che torni a casa. Eleven thirty.

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