14 nov 2006

THE FART!

Il sole lentamente si fa spazio dentro la stanza. A fatica gli occhi si aprono. Il primo pensiero è sempre quello che ti chiede perché dovresti alzarti. Allora mi rotolo ancora un po’ nel letto, per tornare a trovare il filo rosso che mi riporta verso un sogno. Ma è ora di alzarmi. Velocemente doccia rigenerante. Calda. Così ho letto. Una doccia calda la mattina attiva i muscoli e il cervello. Il caldo dovrebbe portarsi via i resti del sonno, ma con me funziona poco. Di fare colazione non se ne parla, come sempre. Raccolgo le mie quattro cose. Cerco le chiavi di casa in ogni anfratto e sono pronto per andare. Sicuro? Ricontrollo le tasche.
L’ascensore ci mette sempre un sacco di tempo. Tre porte bianche senza indicazioni sopra. Una delle tre si apre a caso e tu ci salti dentro per scendere o salire. Dentro di me scommetto su quale arriverà prima. Il centrale. Dico sulle labbra. E, infatti, arriva quello di destra. Salgo dentro. L’ascensore è ampio. Dentro è tutto di simil legno. Un enorme specchio. Il soffitto di plastica e il pavimento sempre di plastica, ma marmorizzata.
Al quinto piano, io vivo al settimo, sale una bionda. Novanta chili. Forse cento. Per un metro e settanta cinque. Maglietta rossa scollata su un seno procace. Pantaloni beige. Schiaccia il pulsante per andare in garage. Nella mano destra a una fetta di torta stracolma di zucchero a velo. Nella sinistra un tovagliolo rosso da cui fa capolino un altro pezzo abbondante del dolce. Dentro di me penso: “Mangia un altro po’.”
Poi tutto succede rapidamente. Come si chiudono le porte, la bionda scoreggia. Ma non una sottile. Una piena. Con annesso movimento di chiappa per permettere la fuoriuscita gassosa. E poi? Un’altra. La mia faccia rimane impassibile. Giocatore di poker. Rimango impenetrabile. Come fosse normale. Lei assume la faccia di chi sta dicendo non sono stata io. Ma, amica mia, eravamo in due in là dentro. Se non stato io, sei stata tu.
Per fortuna gli ascensori in questo grande stato devono salire e scendere per decine di piano. Per cui i soli cinque che ci dividono da terra, se li beve di un fiato. Pochi secondi. Le porte si riaprono. Saluto e scappo fuori.

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