14 nov 2007

Lettera aperta

Mi sembra eccessivo da parte della “società giapponese” di rispondermi con un email striminzita: “con riferimento al nostro incontro del 12/11/2007, siamo spiacenti di comunicarLe che la nostra scelta è caduta su un altro candidato”.
Adesso io lo so che purtroppo l'intelligenza non è per tutti. Soprattutto per chi da il nome ad una società senza preoccuparsi che abbia un senso. Non riporto il nome per non farne pubblicità.
Adesso vi spiego la situazione.
Tre contro uno. Adesso. Neanche il più bastardo sceglie di fare un colloquio in questo modo. La mia sedia almeno venti centimetri più bassa della loro. Mi sembra di essere seduto sulle seggiole delle scuole elementari. Due da una parte e uno dall'altra. Alla mia destra un fantomatico responsabile che fa la parte del poliziotto buono, ma neanche mi dice chi è, che vuole, qual'è il suo ruolo. Dei dei miei cojoni sono là pronti a sentenziare. Alla mia sinistra una signora, ma anche lei tralascia di dirmi chi è. Forse una psicologa o una sociologa. Insomma un selezionatore. Sempre alla mia sinistra, Fabbris. Io glielo volevo dire che pareva suo zio, ma ho temuto si offendesse.
Il colloquio una farsa. Il poliziotto buono ride e scherza. Fabbris, che avrebbe dovuto fare il poliziotto cattiva, cerca di fare qualche domanda intelligente, ma la selezionatrice lo sovrasta ammutolendolo con domande dello stesso calibro. Io spiego e parlo. Ma loro si perdono sempre in inciampi inutili. Li seguo, gli sto dietro. Ci facciamo grasse risate e poi?
“Gentile sig. P.
con riferimento al nostro incontro del 12/11/2007, siamo spiacenti di comunicarLe che la nostra scelta è caduta su un altro candidato”.
Gentile signore? Io la laurea l'ho presa, tu? Le? Ma non eravamo tutti amici? Candidato? Ma non ero l'unico uomo?
Cari giapponesi io lo che voi vi fidare di quest'uomo, ma non è ora di rivedere le vostre posizioni?

28 mag 2007

Vorrei rimettermi di buona lena a scrivere il mio blogghetto. Mi mancano le parole che flusicono senza senso.

Sono a casa. Mal di testa. Totale globale.

Non ho incontrato le tipe della metro, né la moretta che dovresti sposare. Jeans. Ciabbattine. Magliettina. Una gran fretta. Né le bionda “sono meglio io”. Alta un chilometro. Gran culo. Le avrei viste volentieri oggi. Sono meglio di una cibalgina due fast e non so quale altro cazzo.

Potrei fare una riflessione sul mondo. Oppure sull'uomo che è artefice della sua fortuna. Oppure su un paio di occhi chiari che hanno devastato la mia mente. Ma vi risparmio le stronzate.

Speriamo che questo post non rimanga isolato nel blog.

Speriamo che mi ritorni la voglia di scrivere.

11 mar 2007

Tornare a scrivere dopo tanto tempo è come tirare una punizione da trenta metri senza essersi scaldati. Eppure blogghino mio, mi mancavi un sacco. Erano giorni che cercavo un minuto per poter tornare a scrivere.
L’idea iniziale era quella di scrivere una delle mie cose un po’ tristi e invece adesso ho cambiato idea. Vi spiego velocemente perchè?
Ronaldo ha fatto goal all’Inter. Un ossimoro geniale. E il resto non si può dire… Ricordatevi che se qualcuno vi guarda la rosa, morirà appassita.
La vita, qualcuno diceva, è costituita da due macroaree. È una cazzata. La vita è costituita da tanti pezzettini che vanno messi in ordine con infinita pazienza. Per poter scoprire quali sono quelli fondamentali. Io ne ho trovati tre. E due ce li ho, uno mi manca.
Pernacchia. Doppia pernacchia. Pernacchia con i fiocchi.
Beh, il flusso di pensieri che si muove dentro di me è sempre piuttosto strano. I miei pensieri scivolano giù per la penisola, come la mano di un maniaco che accarezza uno stivale. Come gli occhi di un voyeur che si infilano nei pantaloni di una donna. Come un sadomaso che si spoglia lento davanti allo sguardo di una donna.
Perché poi la vita è questo. Non è l’ora che giochi a calcetto che conta. Ma conta dover scappar via dal posto in cui stai. Conta l’odore degli scarpini. Contano le imprecazioni mentre sei in macchina verso il posto. Conta l’erba sintetica.
Non conta la nudità di una donna. Ma conta che tu ci sia arrivato. Conta che le te lo abbia permesso. Non conta che una donna indossi un perizoma rosso, ma conta che abbia comprato un pantalone a vita bassa per fartelo vedere.
Perché tutti dicono: “Ho tanti pantaloni a casa, ma alla fine uso sempre gli stessi.”?
Io uso tutti i pantaloni che ho. Non me ne frega niente che tu non li usi, non mi frega non perché non sia interessato, ma perché questi già ti fanno un sedere da favola.
Alla fine della pagina un pensiero triste viene sempre. Vorrei raccontare varie cose. Ma so che un post più lungo di così non è fruibile e non avete voglia di leggerlo. La tristezza è che ancora una volta avrei tante cose da dire…

11 feb 2007

13 gen 2007

Torni a casa e come tutti i giorni normali della tua vita metti su Ad-Aware SE. Aspetti. Aspetti un infinità. Sei curioso di vedere quanti stronzi sono in grado di farsi i cazzi tuoi. Sei curioso di sapere perché office ha smesso di funzionare. Lasci che quel numero cresca. Adesso è 170. 170 visus, trojan, hijackers, worm, spyware, dialer, e non so quale altro cazzo dentro il mio pc.
Sociologia del Turismo 30
Sociologia del Confine 30
Che con Sociologia Urbano-Rurale è il mio terzo trenta. 3 su 6. Niente male davvero. Eppure senza alcol non hanno lo stesso significato. Nel senso che uno che prende due trenta in un’ora, immagina che da quel momento in poi la sua vita cambi radicalmente. Immagina che le donne cadranno ai suoi piedi. Si convince che le sue capacità intellettive possano essere moneta di scambio per attività sessuali. Attività sessuali… Io non è che cerco tanto. Non voglio essere legato per i polsi e appeso come un salame. Non cerco fetish o qualche altra schifezza. Non sono amante di piedi, gomiti o non so che altro. Non mangio merda e non bevo piscio. A me basterebbe una cara e vecchia pompa. Non sono un uomo da grandi pretese.
Il cervello produce immagini sulla linea di pensiero che un evento produce. Non tende ad essere medio o contrastante. Cerca una linea e la cavalca. Se qualcosa è bianco sarà tutto bianco. Se qualcos’altro è rosso sarà tutto rosso.
Per cui devi rimanere in silenzio e immaginare quello che accadrà. Ma tanto non accadrà.
Qui torna l’alcol.
Beviti una bottiglia di vodka e anche se fossi sdraiato su un lurido muretto, sarai nella reggia che meriti. La piccola cozza che ti accompagna sarà meglio di Elena di Troia. E la tua eiaculazione precoce sarà la più grande scopata di tutti tempi.

22 dic 2006

“Se il gatto è il nome. il cane è l’opposto, il contro è?” Se non è già sufficiente svegliarsi con il mal di testa post sbornia. Figuratevi se la donna con cui dividete il letto vi pone questa domanda. Normale che l’unico suono in grado di uscire dalla mia bocca è: “Eh?” E la sua risposta repentina: “Ma che sei scemo? La zecca, Massi, o la pulce, se vuoi ti dico una cosa seria da contro-cultura?” L’aria è ancora appestata di uno strano fumo. Sono nudo e guardo il mio lombrico morto tra le gambe e mi chiedo se non dovesse, almeno per educazioni, alzarsi in piedi davanti a una donna.
“Una cosa da controcultura è il sostegno delle tradizioni popolari regionali folkloristiche a scapito dei grandi spettacoli di massa su modelli americani e reality show.” Mi dice guardandomi dritto negli occhi. E io continuo a pensare al mio pisello. Lo sguardo interdetto. Il problema per me non sono gli americani, ma quale sostanza impedisca al mio pisello di dimostrarsi educato. “Perché a me la controcultura mi sa di frasi da tossici?” Le chiedo, quasi dispiaciuto, sapendo che questo allontanerà ancora di più il momento del mio amplesso.
“Controcultura? Pensa alla cultura: vacanza, televisione, successo, bellezza, laurea, …”
“Ci sto pensando!”
“Per cultura intendiamo chiaramente quella di massa non istruzione e intelligenza, ho fame!”
Mi lascia così nudo come un verme su un letto in una casa che, ovviamente, ignoro di chi sia. Ma me ne sto là. In silenzio. Anzi. Urlo. “Sei andata a mangiare?” Continuo a guardarmi il pisello. Neanche davanti a un sedere che mi sculetta davanti reagisce. “Che dobbiamo fare?” Gli chiedo. “Che vogliamo fare?” Mi risponde. Per un attimo scuota la testa. Il mio pene mi risponde e mi risponde con la voce di donna? Riscuoto la testa. Francesca mi guarda appoggiata allo stipite della porta.
“Non parlavo con te.”
“No. Certo. Parlavi con il tuo pisello. Beviti una birra.”
Ancora alcol. E se fosse lei la sostanza colpevole, quantomeno indiziata?
“Che mangi?” Le chiedo invidioso. Ho fame, non voglio una birra. “82 calorie di barretta grancereali al cioccolato” Dice e aggiunge: “Controcultura sarebbe una carbonara alle 5 del pomeriggio.”
“Ma sono le cinque del pomeriggio?” La faccenda inizia a farsi intrigata. Il buco di memoria si aggira intorno alle 24 ore. “Porca troia, altro che contro cultura, mi sono fottuto il cervello!”
“Ne mangio mezza e 5 susine”
“L’altra mezza dammela a me!”
“A no cazzo le susine no... se vado avanti cosi' tra gli antibiotici e le susine mi fanno fare la pubblicità nuova dell'enterogermina…”
“Gli antibiotici?”
Anche lei avrà un buco di memoria quanto meno pari al mio. Guardo ancora il mio pisello. Ho scopato in queste ventiquattro ore. Lo capisco dalla sua tonalità di viola. La guardo. Lei non è rossa. O almeno non lo è dove dovrebbe. “Non l’abbiamo fatto?” Mi tira la mezza barretta. La mangio e la guardo. Mi porge una susina. Scuoto la testa. “Che vuoi un pompino?” Mi chiede all’improvviso. Scuoto la testa. “Controcultura?”
“Io non capisco perchè uno e in quest'uno ci metto tutti, o forse solo io, siamo sempre in attesa di qualcosa e non riusciamo a viverci il presente. Tipo io penso sempre alla Sardegna, invece sono qui in vacanza me la sguazzo e non capisco perchè non mi godo ‘sto momento invece di pensare sempre a cosa farò o dove andrò, poi mi pare idiota!”
È arrivato il momento dei discorsi seri. Francesca guarda il mio pisello floscio. Forse è arrivato il momento di non pensare a lui. Lo sfioro per vedere se ha qualche scossone. Almeno mi scappasse di pisciare avrei una buona scusa e invece.
“Lo dici a me che odio il presente e mi sembra che le cose siano sempre già finite.” O almeno mi sembra che tutto non inizi mai. Anche perché il passato non me lo ricordo. Non mi ricordo neanche chi mi sono trombato e deve essere stato da paura, se si rifiuta di rifarlo adesso.
“Bisogna far finta – dico - di essere felici sapendo che prima o poi la felcità arriverà!” Dio mio, le cazzate che riesco a dire. Eppure i suoi piccoli seni sono un invito irresistibile. Seduta a cavalcioni mi guarda. “Non credo.” Vorrebbe solo cogliere l’attimo in cui il mio pisello reagirà. Guardo la sua passera poggiata sul quella specie di cadavere. “E dove sarà?” Mi chiede. “Forse sarà in uno degli estremi.” Forse nell’unico estremo che ha veramente un senso. La morte. Una porta al piano di sotto sbatte forte. Francesca mi guarda complice dei miei pensieri: “C'è una pistola nel cassetto e 5000 dollari, sai cosa devi fare?” Non è una domanda a cui si deve rispondere. M’infilo i pantaloni. Non sparerei mai a qualcuno con il pisello di fuori. “Ammazza, Massi, ammazza! Un colpo secco!”

15 dic 2006

Piano piano si avvicina l’ora di tornare a casa. Dio mio!!!!! Sembra l’inizio di un tema delle elementari. Ma come fanno i professori a leggere quella roba senza vomitare per terra? Perché io ho sempre pensato che prendessero voti alti solo i temi più vomitevoli? Perché ho avuto sempre professori di italiano (anche se uno è indiscutibilmente da tirare fuori) così ottusi da non capire che gli stavano servendo il piatto che loro si aspettavano? Peccato non ci fosse mai un po’ di veleno.
La scuola è un concetto molto semplice: fa sempre e solo quello che ti viene detto di fare. I tuoi voti dipendono dalla tua faccia. Dal tuo modo di parlare. Dalla mimosa che lasci alla prof sulla scrivania. Dal carattere che si riflette nei tuoi occhi. Ecco. Se io avrò mai un figlio gli dirò: “Fai il bravo, fai quello che ti viene detto.”
Vorrei poter tornare indietro per scrivere parolacce nei temi. Scrivere tutto il mio odio verso quel mezzo culattone di Lorenzo. Per scrivere tutto il mio amore verso Lucia. Vorrei averla potuto rapire nella mia scrittura. Avrei voluto, all’interno di un tema, possederla “sulla poltrona di casa mia con il Rewind!” Avrei voluto esprimere dissenso nei confronti di Dante, D’Annunzio. Avrei voluto poter dire tante cose, ma mi è sempre stata negata la possibilità. Servire pesce lesso, quando nella mia dispensa ci sono lasagne, polpettoni, arrosti, cacciagione… Avrei voluto che la mia scrittura fosse un’avventura nel mare in tempesta e non le parole di una noiosa guida.
Se qualcuno sta ancora al liceo in fondo al suo tema scriva una bella nota. “Tutte le opinioni espresse in questo breve trattato dal titolo “…” sono il frutto della mia riflessione tranne dove indicato diversamente. Per questo mi sono permesso di omettere gli inutili e noiosi ‘secondo me’ e tutte le espressioni sinonime.” Poi fai una bella foto con annesso voto!!! Ti prego!!!!!! Sei un mito se lo fai!!!
C’è ancora da qualche parte un Holden? “Dear Mr. Spencer. That is all I know about the Egyptians. I can’t seem to get very interested in them although your lectures are very interesting. It is all right with me if you flunk me thought as I am flunking everything else except English anyway. Respectfully yours, Holden Caulfield.” Non esiste Holden.

14 dic 2006

Che idea! - Flaminio Maphia

G-Max:
Sono il re della serata, lo si vede dall'entrata
Si buttano ai miei piedi, tutte in tackle e scivolata
Con il rischio imprevisto, che me stuccano er menisco
Basta un disco e gia' sto pisto, con l'aiuto di un gin liscio
C'e' la mora c'e' la bionda, quella bassa alta o ricca
Ho un tatuaggio co la scritta, "Richard Gere me fai na pippa!"
Sulla pista indiavolata li' per li' l'ho strapazzata
L'ho lanciata riafferrata senza fiato l'ho lasciata
Tra le braccia m'e' cascata era cotta innamorata
Per i fianchi l'ho bloccata e ne ho fatto marmellata

Oh yeah, ..se dice cosi' no? e poi.. e poi..

Rit:
CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

Rude MC:
Shekera i fianchi come Shakira
Sguardo attraente tipo vampira
Labbra carnose ibadabaduu
Sarai la mia Wilma dagli occhi blu
Buuuuum, shakalakalaka
Lei mi sorride forse l'ho rimorchiata
Eccomi arriva il conquistatore
E tu ti aprirai come un girasole
Da paiura sembri Yuma
A forza de ballà stai a fa la schiuma
La mischia invasa baby che pasa
Ridi che stasera te porto a casa

G-Max:
M'ha guardato l'ho guardata l'ho bloccata accarezzata
Sul visino suo di fata ma sembrava una patata
L'ho acchiappata l'ho frullata e ne ho fatto una frittata!

Oh yeah, ..se dice cosi' no? e poi.. e poi..

CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

Balla, balla, balla, ...e dalla!

CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

12 dic 2006

Oggi semplicemente non mi sono accorto che il giorno era iniziato. Ho continuato a dormire in attesa che il mio orologio biologico rintoccasse l’ora. In attesa che il silenzio della notte svanisse. In attesa che Morfeo mollasse la presa. Ma ho atteso invano.

A mezzogiorno mi sono inoltrato nel verde di Arlington. Arligton National Cemetery. Un monumento enorme alla morte. E non ho potuto fare a meno di iniziare una riflessione sul nero flagello. Sulla fine. Sul destino inevitabile. Eppure ci sono mille morti diverse.

Sopra una collina un anfiteatro fasciticamente bianco si apre sullo skyline di Washington. Una stele bianca è il monumento al milite ignoto. Unknown soldier. Un soldato fa avanti e indietro. Cercando di esprimere tutto il suo rispetto nella perfezione stilistica dei suoi gesti. Quasi maniacali. Ripetuti centinaia di volte. Avanti e indietro.

Riflessione che cerca di dare una spiegazione a tutte quelle morti. Wife. Daughter. Perdi il tuo nome per essere la moglie o la figlia di qualcuno che è deceduto in guerra. Che è spirato combattendo per un ideale. Ognuno si sceglie il suo e questi uomini si sono scelti il loro. Io lo chiamo: Libertà.

Per qualche ora divento filoamericano. Per qualche ora capisco quando qualcuno mi dice che delle persone hanno dato la loro vita per la mia libertà. Penso a cosa vuol dire essere morto partigiano. E mi chiedo quanto sono disposto a perdere la mia di libertà. Mi chiedo per quale donna sarei disposto a diventare il marito di. Non sono disposto a perdere la mia libertà. Preferisco essere quel soldato che fa avanti indietro per onorare qualcuno e non quel soldato che stanno portando dentro una tomba. Morto chissà dove. In Iraq immagino. Il corteo d’onore. La moglie e le figlie dietro una bara vestita con la bandiera. Dietro i genitori e poi dei militari. Degli alti ufficiali, credo. Le salve. E poi il silenzio militare. La tromba che suona da sola. Le stesse note uguali in tutto il mondo. O forse uguali in tutti i paesi occidentali.

Uno sciame di macchine è parcheggiato tutto intorno e un centinaio di persone si avvicinano alla chetichella per l’ultimo saluto. Turisti curiosi da lontano scattano foto. Fa caldo, ma io mi stringo dentro la giacca. Non c’è silenzio che risuoni dentro le mie orecchie. C’è solo sempre la stessa domanda. Perché? E allora torno a guardare il soldato che fa avanti e indietro. Seduto sul marmo bianco, guardo i segni neri lasciati dalle suole delle scarpe. Avrei voglia di spararmi musica nelle orecchie, ma lascio che siano i miei occhi ad essere protagonisti.

Oggi semplicemente non mi sono accorto che il giorno era iniziato. Ho continuato a dormire in attesa che il mio orologio biologico rintoccasse l’ora. In attesa che il silenzio della notte svanisse. In attesa che Morfeo mollasse la presa. Ma ho atteso invano.

A mezzogiorno mi sono inoltrato nel verde di Arlington. Arligton National Cemetery. Un monumento enorme alla morte. E non ho potuto fare a meno di iniziare una riflessione sul nero flagello. Sulla fine. Sul destino inevitabile. Eppure ci sono mille morti diverse.

Sopra una collina un anfiteatro fasciticamente bianco si apre sullo skyline di Washington. Una stele bianca è il monumento al milite ignoto. Unknown soldier. Un soldato fa avanti e indietro. Cercando di esprimere tutto il suo rispetto nella perfezione stilistica dei suoi gesti. Quasi maniacali. Ripetuti centinaia di volte. Avanti e indietro.

Riflessione che cerca di dare una spiegazione a tutte quelle morti. Wife. Daughter. Perdi il tuo nome per essere la moglie o la figlia di qualcuno che è deceduto in guerra. Che è spirato combattendo per un ideale. Ognuno si sceglie il suo e questi uomini si sono scelti il loro. Io lo chiamo: Libertà.

Per qualche ora divento filoamericano. Per qualche ora capisco quando qualcuno mi dice che delle persone hanno dato la loro vita per la mia libertà. Penso a cosa vuol dire essere morto partigiano. E mi chiedo quanto sono disposto a perdere la mia di libertà. Mi chiedo per quale donna sarei disposto a diventare il marito di. Non sono disposto a perdere la mia libertà. Preferisco essere quel soldato che fa avanti indietro per onorare qualcuno e non quel soldato che stanno portando dentro una tomba. Morto chissà dove. In Iraq immagino. Il corteo d’onore. La moglie e le figlie dietro una bara vestita con la bandiera. Dietro i genitori e poi dei militari. Degli alti ufficiali, credo. Le salve. E poi il silenzio militare. La tromba che suona da sola. Le stesse note uguali in tutto il mondo. O forse uguali in tutti i paesi occidentali.

Uno sciame di macchine è parcheggiato tutto intorno e un centinaio di persone si avvicinano alla chetichella per l’ultimo saluto. Turisti curiosi da lontano scattano foto. Fa caldo, ma io mi stringo dentro la giacca. Non c’è silenzio che risuoni dentro le mie orecchie. C’è solo sempre la stessa domanda. Perché? E allora torno a guardare il soldato che fa avanti e indietro. Seduto sul marmo bianco, guardo i segni neri lasciati dalle suole delle scarpe. Avrei voglia di spararmi musica nelle orecchie, ma lascio che siano i miei occhi ad essere protagonisti.

7 dic 2006

Sono ancora alla ricerca di una colonna sonora che mi accompagni mentre cammino attraverso queste strade. È arrivato il freddo. Quel freddo maledetto che ti congela le dita delle mani e non bastano neanche i guanti. Quel vento che ti costringe a nasconderti per non essere trasformato in una statua di ghiaccio. Speri che l’autobus sia già là ad aspettarti. Sei già pronto a bussare contro la porta, in attesa di nessuno.
Hip Hop è scomparso. Non solo dalle sale del Bethesda Cares, ma anche dai ricordi della gente che lavora qua dentro. Nessuno si preoccupa di nessuno. Il che è piuttosto strano visto il nome. Old man non ha niente da fare. Mi guarda mentre nuoto tra le carte. Mentre spulcio, leggo, colleziono e archivio. Dovrebbe telefonare a un tipo. Ma c’è tempo. Qua è già Natale. Old man è già vacanza. Si gratta il dito di una mano e sfoggia un cappellino da scozzese. Old man porta sempre gli stessi pantaloni. Di velluto. Beige. Chiude sempre il telefono prima che il suo interlocutore possa salutarlo. Old man odia che io usi Messenger. Sheila fa spallucce quando glielo dice. Old man ha la forfora.
Le babbione sono piuttosto allegre oggi. Ieri hanno incassato un sacco di soldi. “Give me money!” Motto piuttosto strano, ma efficace. Sue oggi fa il poliziotto nelle sale. Si sente la mancanza di Hip Hop. O almeno io la sento. Per qualche secondo guardo il mio compagno di scrivania. Potrebbe far finta di essere Sean Connery. Eppure ha qualcosa che non va. Il naso grosso da vecchio che si è scaccolato con il pollice per settanta anni. Gli occhi stanchi. La finta iperattività tipica da queste parti.
Torno al passaporto di una ragazza alla pari. Sorride con la bocca chiusa nella foto. È splendida. È dell’84. Sorride con la bocca chiusa. Vezzo? Spulcio velocemente le carte. C’è sempre un motivo dietro una foto così. Mi aspetto di trovare chissà cosa. Ma trovo solo una serie di cure dentali. Chissà se adesso sorride con la bocca aperta. La ragazza alla pari. Come dice sempre il buon Tom Cruise. Tutti scappano!
Old man fa finalmente la sua telefonata. Kebab. Tutto questo tempo per un po’ di Kebab? Adesso deve trovare qualcuno che lo va a prendere. Innalzo la pila di file e documenti tra me e lui. Io non vado. Non me lo chiede neanche. Cerca però di guardarmi attraverso la carta. Metto un altro faldone sulla pila. Io non vado. Non voglio puzzare di cipolla.
Nella mia sigaretta di mezza mattina mi intrattengo in una bellissima conversazione. Il mio interlocutore è un nero che fuma Marlboro rosse. “What? Hair? What? Hair?” Questa è l’unica cosa che ripete. E allora io rinuncio e ritorno come sempre a guardare la bionda parrucchiera che fa i capelli alle signore in vetrina. Ha sempre magliette nere. Tutti hanno magliette nere là dentro. Ma lei ha sempre magliette scollate. Le lascio un sorriso e torno a lavorare.

Redskins