1 dic 2006

Hip hop

Alcuni giorni ti rendi conto che c’è qualcosa di strano nell’aria. Le cime degli alberi si muovono appena. Il cielo promette tempesta. Promette di innaffiare tutto. Eppure fa caldo. Io cammino per le strade di Bethesda, Maryland con solo una felpa addosso. La gente ha lo sguardo basso di chi aspetta qualcosa che non arriverà.
Gli uffici del Bethesda Cares sembrano particolarmente bui. Sheila mi saluta da una finestra, con il sorriso di chi non ha ancora capito perché faccio la strada lunga ed entro dalla porta principale invece di tagliare per la porta si servizio. Il centro è crowed, come sempre quando sta per piovere.
Il mio amico Hip Hop mi promette che morirò per colpa di una sigaretta. Guardando il mozzicone che porta a spasso, ribatto: “you too!” C’è qualcosa di diverso nel suo sguardo. Ma da bravo volontario faccio finta niente è roba per assistenti sociali, non per me che viaggio tra le mansioni di magazziniere, archivista, segretaria, guardia di sicurezza, vedetta del fortino, tuttofare.
Anche dentro c’è qualcosa nell’aria. Old man è al telefono. Parla poco. Sue non c’è e neanche Barbara. Ma per quest’ultima è normale, è venerdì. La mia stanza sembra particolarmente ingombra. Sheila non viene ad impicciarsi. C’è qualcosa che non va oggi. Sistemo le sedie. Prendo cartelle e documenti su cui devo lavorare. Old man mi annuncia che tra few minutes se ne andrà. Lo guardo. Il problema è il suo non il mio. Invado tutto con le carte. Cerca di capire per quanto tempo ancora governerò su quella terra e per ribadire la mia posizione attiro a me tre sedie e le riempio di carte.
La finta calma dell’attesa si rompe. Hip Hop con una tazza di caffè si infila dentro l’ufficio di Sheila. Lascia la porta aperta, come sempre, ci tiene che sappiamo dov’è il suo problema. Ma oggi è più inquietante del solito. Urla. Una sola parola rimbalza ovunque nel silenzio che è sceso nella testa di tutti. Schizofrenico.
Hip Hop è la persona che stabilisce i turni di accesso all’ufficio di Sheila, l’assistente sociale. Lui è il re della zona degli homeless. Se qualcuno entra negli uffici senza il suo permesso, lo viene a prendere e se lo porta via. È l’unico senzatetto che può entrare in ufficio senza che tu debba staccare il tuo sguardo dallo schermo. A meno che non sia venuto per te. Per raccontarti qualcosa. È bipolare. Ma solo perché è troppo allegro per essere depresso come tutte le persone nelle sue condizioni.
Da quando aveva quattordici anni è stato due volte in centri per il recupero delle tossico dipendenze. Sa cosa vuol dire essere rinchiuso. Ho venti anni. Urla. Non vuole essere rinchiuso ancora una volta per colpa di un fucking doctor. Non vuole medicine che lo stordiscano. Sta bene così com’è. Lo guardo di spalle attraverso la porta.

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