17 nov 2006

Il barbone elegante

Vorrei potervi raccontare questi rami spogli che vedo attraverso la finestra. Vorrei potervi raccontare l’amara combinazione di pietà e riso, mentre cerco di fare da traduttore per un tossico spagnolo. Vedere gli occhi preoccupati di chi ha camminato sotto la pioggia, ma non ha ottenuto niente. La sottile disperazione. La grottesca immagine del suo viso che passa tra la gioia di qualcuno che capisce quello che dici e la tristezza di non ricevere le risposte che cerchi. “Non chiedo tanto, chiedo solo un vestito per sentirmi ancora una volta un uomo.” Leggo tra le sue rughe, incise nelle pelle bruciata dal sole. Lo immagino affaticato in un campo del Sud America, tergersi il sudore. Adesso mi guarda. Come un bimbo impaurito che ha trovato finalmente qualcuno a cui affidarsi. Impregnato di alcol e sostanze non identificabili, traballa sulle gambe. Traballa nel suo sguardo.
Non so bene cosa debbano comunicare i miei occhi e lascio che passi quello che ho dentro. Guardo Sheila seduta nella scrivania. “Questo è quello che dice.” Un po’ sorride. Non sa se è il mio inglese o la faccia di quell’uomo a rendere poco credibili le frasi che aleggiano nell’aria, sospese e soppesate nei nostri cervelli per capire che risposta dare. Che risposta dargli. Guardo ancora Sheila, pensando: “che ti costa è solo una firma!” Sorride. Lei sa sempre quello che pensa la gente. E in un angolo verga il buono regalando a questo improbabile elegante barbone sudamericano, un altro vestito con giacca e pantaloni.
L’uomo guarda Sheila e poi guarda me. Per un attimo temo mi voglia baciare una mano. Ma fa una delle cose più belle che siano successe qua. Stringe a sé quel buono. Come fosse un figlio. Come chi finalmente possiede qualcosa di valore. E poi ci guarda, eroi nella sua vita per i prossimi venti secondi. E con una mano ci saluta. Con quel gesto strano che usa solo la Regina Elisabetta. Con il braccio piegato parallelo al corpo e le dita strette. Lo guardo attraverso il vetro dell’ufficio andar via. Scuoto la testa in una piccola risata e me ne torno a lavorare.

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