22 dic 2006

“Se il gatto è il nome. il cane è l’opposto, il contro è?” Se non è già sufficiente svegliarsi con il mal di testa post sbornia. Figuratevi se la donna con cui dividete il letto vi pone questa domanda. Normale che l’unico suono in grado di uscire dalla mia bocca è: “Eh?” E la sua risposta repentina: “Ma che sei scemo? La zecca, Massi, o la pulce, se vuoi ti dico una cosa seria da contro-cultura?” L’aria è ancora appestata di uno strano fumo. Sono nudo e guardo il mio lombrico morto tra le gambe e mi chiedo se non dovesse, almeno per educazioni, alzarsi in piedi davanti a una donna.
“Una cosa da controcultura è il sostegno delle tradizioni popolari regionali folkloristiche a scapito dei grandi spettacoli di massa su modelli americani e reality show.” Mi dice guardandomi dritto negli occhi. E io continuo a pensare al mio pisello. Lo sguardo interdetto. Il problema per me non sono gli americani, ma quale sostanza impedisca al mio pisello di dimostrarsi educato. “Perché a me la controcultura mi sa di frasi da tossici?” Le chiedo, quasi dispiaciuto, sapendo che questo allontanerà ancora di più il momento del mio amplesso.
“Controcultura? Pensa alla cultura: vacanza, televisione, successo, bellezza, laurea, …”
“Ci sto pensando!”
“Per cultura intendiamo chiaramente quella di massa non istruzione e intelligenza, ho fame!”
Mi lascia così nudo come un verme su un letto in una casa che, ovviamente, ignoro di chi sia. Ma me ne sto là. In silenzio. Anzi. Urlo. “Sei andata a mangiare?” Continuo a guardarmi il pisello. Neanche davanti a un sedere che mi sculetta davanti reagisce. “Che dobbiamo fare?” Gli chiedo. “Che vogliamo fare?” Mi risponde. Per un attimo scuota la testa. Il mio pene mi risponde e mi risponde con la voce di donna? Riscuoto la testa. Francesca mi guarda appoggiata allo stipite della porta.
“Non parlavo con te.”
“No. Certo. Parlavi con il tuo pisello. Beviti una birra.”
Ancora alcol. E se fosse lei la sostanza colpevole, quantomeno indiziata?
“Che mangi?” Le chiedo invidioso. Ho fame, non voglio una birra. “82 calorie di barretta grancereali al cioccolato” Dice e aggiunge: “Controcultura sarebbe una carbonara alle 5 del pomeriggio.”
“Ma sono le cinque del pomeriggio?” La faccenda inizia a farsi intrigata. Il buco di memoria si aggira intorno alle 24 ore. “Porca troia, altro che contro cultura, mi sono fottuto il cervello!”
“Ne mangio mezza e 5 susine”
“L’altra mezza dammela a me!”
“A no cazzo le susine no... se vado avanti cosi' tra gli antibiotici e le susine mi fanno fare la pubblicità nuova dell'enterogermina…”
“Gli antibiotici?”
Anche lei avrà un buco di memoria quanto meno pari al mio. Guardo ancora il mio pisello. Ho scopato in queste ventiquattro ore. Lo capisco dalla sua tonalità di viola. La guardo. Lei non è rossa. O almeno non lo è dove dovrebbe. “Non l’abbiamo fatto?” Mi tira la mezza barretta. La mangio e la guardo. Mi porge una susina. Scuoto la testa. “Che vuoi un pompino?” Mi chiede all’improvviso. Scuoto la testa. “Controcultura?”
“Io non capisco perchè uno e in quest'uno ci metto tutti, o forse solo io, siamo sempre in attesa di qualcosa e non riusciamo a viverci il presente. Tipo io penso sempre alla Sardegna, invece sono qui in vacanza me la sguazzo e non capisco perchè non mi godo ‘sto momento invece di pensare sempre a cosa farò o dove andrò, poi mi pare idiota!”
È arrivato il momento dei discorsi seri. Francesca guarda il mio pisello floscio. Forse è arrivato il momento di non pensare a lui. Lo sfioro per vedere se ha qualche scossone. Almeno mi scappasse di pisciare avrei una buona scusa e invece.
“Lo dici a me che odio il presente e mi sembra che le cose siano sempre già finite.” O almeno mi sembra che tutto non inizi mai. Anche perché il passato non me lo ricordo. Non mi ricordo neanche chi mi sono trombato e deve essere stato da paura, se si rifiuta di rifarlo adesso.
“Bisogna far finta – dico - di essere felici sapendo che prima o poi la felcità arriverà!” Dio mio, le cazzate che riesco a dire. Eppure i suoi piccoli seni sono un invito irresistibile. Seduta a cavalcioni mi guarda. “Non credo.” Vorrebbe solo cogliere l’attimo in cui il mio pisello reagirà. Guardo la sua passera poggiata sul quella specie di cadavere. “E dove sarà?” Mi chiede. “Forse sarà in uno degli estremi.” Forse nell’unico estremo che ha veramente un senso. La morte. Una porta al piano di sotto sbatte forte. Francesca mi guarda complice dei miei pensieri: “C'è una pistola nel cassetto e 5000 dollari, sai cosa devi fare?” Non è una domanda a cui si deve rispondere. M’infilo i pantaloni. Non sparerei mai a qualcuno con il pisello di fuori. “Ammazza, Massi, ammazza! Un colpo secco!”

15 dic 2006

Piano piano si avvicina l’ora di tornare a casa. Dio mio!!!!! Sembra l’inizio di un tema delle elementari. Ma come fanno i professori a leggere quella roba senza vomitare per terra? Perché io ho sempre pensato che prendessero voti alti solo i temi più vomitevoli? Perché ho avuto sempre professori di italiano (anche se uno è indiscutibilmente da tirare fuori) così ottusi da non capire che gli stavano servendo il piatto che loro si aspettavano? Peccato non ci fosse mai un po’ di veleno.
La scuola è un concetto molto semplice: fa sempre e solo quello che ti viene detto di fare. I tuoi voti dipendono dalla tua faccia. Dal tuo modo di parlare. Dalla mimosa che lasci alla prof sulla scrivania. Dal carattere che si riflette nei tuoi occhi. Ecco. Se io avrò mai un figlio gli dirò: “Fai il bravo, fai quello che ti viene detto.”
Vorrei poter tornare indietro per scrivere parolacce nei temi. Scrivere tutto il mio odio verso quel mezzo culattone di Lorenzo. Per scrivere tutto il mio amore verso Lucia. Vorrei averla potuto rapire nella mia scrittura. Avrei voluto, all’interno di un tema, possederla “sulla poltrona di casa mia con il Rewind!” Avrei voluto esprimere dissenso nei confronti di Dante, D’Annunzio. Avrei voluto poter dire tante cose, ma mi è sempre stata negata la possibilità. Servire pesce lesso, quando nella mia dispensa ci sono lasagne, polpettoni, arrosti, cacciagione… Avrei voluto che la mia scrittura fosse un’avventura nel mare in tempesta e non le parole di una noiosa guida.
Se qualcuno sta ancora al liceo in fondo al suo tema scriva una bella nota. “Tutte le opinioni espresse in questo breve trattato dal titolo “…” sono il frutto della mia riflessione tranne dove indicato diversamente. Per questo mi sono permesso di omettere gli inutili e noiosi ‘secondo me’ e tutte le espressioni sinonime.” Poi fai una bella foto con annesso voto!!! Ti prego!!!!!! Sei un mito se lo fai!!!
C’è ancora da qualche parte un Holden? “Dear Mr. Spencer. That is all I know about the Egyptians. I can’t seem to get very interested in them although your lectures are very interesting. It is all right with me if you flunk me thought as I am flunking everything else except English anyway. Respectfully yours, Holden Caulfield.” Non esiste Holden.

14 dic 2006

Che idea! - Flaminio Maphia

G-Max:
Sono il re della serata, lo si vede dall'entrata
Si buttano ai miei piedi, tutte in tackle e scivolata
Con il rischio imprevisto, che me stuccano er menisco
Basta un disco e gia' sto pisto, con l'aiuto di un gin liscio
C'e' la mora c'e' la bionda, quella bassa alta o ricca
Ho un tatuaggio co la scritta, "Richard Gere me fai na pippa!"
Sulla pista indiavolata li' per li' l'ho strapazzata
L'ho lanciata riafferrata senza fiato l'ho lasciata
Tra le braccia m'e' cascata era cotta innamorata
Per i fianchi l'ho bloccata e ne ho fatto marmellata

Oh yeah, ..se dice cosi' no? e poi.. e poi..

Rit:
CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

Rude MC:
Shekera i fianchi come Shakira
Sguardo attraente tipo vampira
Labbra carnose ibadabaduu
Sarai la mia Wilma dagli occhi blu
Buuuuum, shakalakalaka
Lei mi sorride forse l'ho rimorchiata
Eccomi arriva il conquistatore
E tu ti aprirai come un girasole
Da paiura sembri Yuma
A forza de ballà stai a fa la schiuma
La mischia invasa baby che pasa
Ridi che stasera te porto a casa

G-Max:
M'ha guardato l'ho guardata l'ho bloccata accarezzata
Sul visino suo di fata ma sembrava una patata
L'ho acchiappata l'ho frullata e ne ho fatto una frittata!

Oh yeah, ..se dice cosi' no? e poi.. e poi..

CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

Balla, balla, balla, ...e dalla!

CHE IDEA!
Quale idea? non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? E'maliziosa ma sapra'
Tenere a bada un superbullo buffo come te
E poi che avresti di speciale che in un altro no non c'e'
CHE IDEA!
Quale idea? Non vedi che lei non ci sta
CHE IDEA!
Ma quale idea? Attento lei lunga la sa
Lei ti fara' girare in tondo senza avere mai
Le cose che pretendi e scusa in fondo scusa tu che dai?

12 dic 2006

Oggi semplicemente non mi sono accorto che il giorno era iniziato. Ho continuato a dormire in attesa che il mio orologio biologico rintoccasse l’ora. In attesa che il silenzio della notte svanisse. In attesa che Morfeo mollasse la presa. Ma ho atteso invano.

A mezzogiorno mi sono inoltrato nel verde di Arlington. Arligton National Cemetery. Un monumento enorme alla morte. E non ho potuto fare a meno di iniziare una riflessione sul nero flagello. Sulla fine. Sul destino inevitabile. Eppure ci sono mille morti diverse.

Sopra una collina un anfiteatro fasciticamente bianco si apre sullo skyline di Washington. Una stele bianca è il monumento al milite ignoto. Unknown soldier. Un soldato fa avanti e indietro. Cercando di esprimere tutto il suo rispetto nella perfezione stilistica dei suoi gesti. Quasi maniacali. Ripetuti centinaia di volte. Avanti e indietro.

Riflessione che cerca di dare una spiegazione a tutte quelle morti. Wife. Daughter. Perdi il tuo nome per essere la moglie o la figlia di qualcuno che è deceduto in guerra. Che è spirato combattendo per un ideale. Ognuno si sceglie il suo e questi uomini si sono scelti il loro. Io lo chiamo: Libertà.

Per qualche ora divento filoamericano. Per qualche ora capisco quando qualcuno mi dice che delle persone hanno dato la loro vita per la mia libertà. Penso a cosa vuol dire essere morto partigiano. E mi chiedo quanto sono disposto a perdere la mia di libertà. Mi chiedo per quale donna sarei disposto a diventare il marito di. Non sono disposto a perdere la mia libertà. Preferisco essere quel soldato che fa avanti indietro per onorare qualcuno e non quel soldato che stanno portando dentro una tomba. Morto chissà dove. In Iraq immagino. Il corteo d’onore. La moglie e le figlie dietro una bara vestita con la bandiera. Dietro i genitori e poi dei militari. Degli alti ufficiali, credo. Le salve. E poi il silenzio militare. La tromba che suona da sola. Le stesse note uguali in tutto il mondo. O forse uguali in tutti i paesi occidentali.

Uno sciame di macchine è parcheggiato tutto intorno e un centinaio di persone si avvicinano alla chetichella per l’ultimo saluto. Turisti curiosi da lontano scattano foto. Fa caldo, ma io mi stringo dentro la giacca. Non c’è silenzio che risuoni dentro le mie orecchie. C’è solo sempre la stessa domanda. Perché? E allora torno a guardare il soldato che fa avanti e indietro. Seduto sul marmo bianco, guardo i segni neri lasciati dalle suole delle scarpe. Avrei voglia di spararmi musica nelle orecchie, ma lascio che siano i miei occhi ad essere protagonisti.

Oggi semplicemente non mi sono accorto che il giorno era iniziato. Ho continuato a dormire in attesa che il mio orologio biologico rintoccasse l’ora. In attesa che il silenzio della notte svanisse. In attesa che Morfeo mollasse la presa. Ma ho atteso invano.

A mezzogiorno mi sono inoltrato nel verde di Arlington. Arligton National Cemetery. Un monumento enorme alla morte. E non ho potuto fare a meno di iniziare una riflessione sul nero flagello. Sulla fine. Sul destino inevitabile. Eppure ci sono mille morti diverse.

Sopra una collina un anfiteatro fasciticamente bianco si apre sullo skyline di Washington. Una stele bianca è il monumento al milite ignoto. Unknown soldier. Un soldato fa avanti e indietro. Cercando di esprimere tutto il suo rispetto nella perfezione stilistica dei suoi gesti. Quasi maniacali. Ripetuti centinaia di volte. Avanti e indietro.

Riflessione che cerca di dare una spiegazione a tutte quelle morti. Wife. Daughter. Perdi il tuo nome per essere la moglie o la figlia di qualcuno che è deceduto in guerra. Che è spirato combattendo per un ideale. Ognuno si sceglie il suo e questi uomini si sono scelti il loro. Io lo chiamo: Libertà.

Per qualche ora divento filoamericano. Per qualche ora capisco quando qualcuno mi dice che delle persone hanno dato la loro vita per la mia libertà. Penso a cosa vuol dire essere morto partigiano. E mi chiedo quanto sono disposto a perdere la mia di libertà. Mi chiedo per quale donna sarei disposto a diventare il marito di. Non sono disposto a perdere la mia libertà. Preferisco essere quel soldato che fa avanti indietro per onorare qualcuno e non quel soldato che stanno portando dentro una tomba. Morto chissà dove. In Iraq immagino. Il corteo d’onore. La moglie e le figlie dietro una bara vestita con la bandiera. Dietro i genitori e poi dei militari. Degli alti ufficiali, credo. Le salve. E poi il silenzio militare. La tromba che suona da sola. Le stesse note uguali in tutto il mondo. O forse uguali in tutti i paesi occidentali.

Uno sciame di macchine è parcheggiato tutto intorno e un centinaio di persone si avvicinano alla chetichella per l’ultimo saluto. Turisti curiosi da lontano scattano foto. Fa caldo, ma io mi stringo dentro la giacca. Non c’è silenzio che risuoni dentro le mie orecchie. C’è solo sempre la stessa domanda. Perché? E allora torno a guardare il soldato che fa avanti e indietro. Seduto sul marmo bianco, guardo i segni neri lasciati dalle suole delle scarpe. Avrei voglia di spararmi musica nelle orecchie, ma lascio che siano i miei occhi ad essere protagonisti.

7 dic 2006

Sono ancora alla ricerca di una colonna sonora che mi accompagni mentre cammino attraverso queste strade. È arrivato il freddo. Quel freddo maledetto che ti congela le dita delle mani e non bastano neanche i guanti. Quel vento che ti costringe a nasconderti per non essere trasformato in una statua di ghiaccio. Speri che l’autobus sia già là ad aspettarti. Sei già pronto a bussare contro la porta, in attesa di nessuno.
Hip Hop è scomparso. Non solo dalle sale del Bethesda Cares, ma anche dai ricordi della gente che lavora qua dentro. Nessuno si preoccupa di nessuno. Il che è piuttosto strano visto il nome. Old man non ha niente da fare. Mi guarda mentre nuoto tra le carte. Mentre spulcio, leggo, colleziono e archivio. Dovrebbe telefonare a un tipo. Ma c’è tempo. Qua è già Natale. Old man è già vacanza. Si gratta il dito di una mano e sfoggia un cappellino da scozzese. Old man porta sempre gli stessi pantaloni. Di velluto. Beige. Chiude sempre il telefono prima che il suo interlocutore possa salutarlo. Old man odia che io usi Messenger. Sheila fa spallucce quando glielo dice. Old man ha la forfora.
Le babbione sono piuttosto allegre oggi. Ieri hanno incassato un sacco di soldi. “Give me money!” Motto piuttosto strano, ma efficace. Sue oggi fa il poliziotto nelle sale. Si sente la mancanza di Hip Hop. O almeno io la sento. Per qualche secondo guardo il mio compagno di scrivania. Potrebbe far finta di essere Sean Connery. Eppure ha qualcosa che non va. Il naso grosso da vecchio che si è scaccolato con il pollice per settanta anni. Gli occhi stanchi. La finta iperattività tipica da queste parti.
Torno al passaporto di una ragazza alla pari. Sorride con la bocca chiusa nella foto. È splendida. È dell’84. Sorride con la bocca chiusa. Vezzo? Spulcio velocemente le carte. C’è sempre un motivo dietro una foto così. Mi aspetto di trovare chissà cosa. Ma trovo solo una serie di cure dentali. Chissà se adesso sorride con la bocca aperta. La ragazza alla pari. Come dice sempre il buon Tom Cruise. Tutti scappano!
Old man fa finalmente la sua telefonata. Kebab. Tutto questo tempo per un po’ di Kebab? Adesso deve trovare qualcuno che lo va a prendere. Innalzo la pila di file e documenti tra me e lui. Io non vado. Non me lo chiede neanche. Cerca però di guardarmi attraverso la carta. Metto un altro faldone sulla pila. Io non vado. Non voglio puzzare di cipolla.
Nella mia sigaretta di mezza mattina mi intrattengo in una bellissima conversazione. Il mio interlocutore è un nero che fuma Marlboro rosse. “What? Hair? What? Hair?” Questa è l’unica cosa che ripete. E allora io rinuncio e ritorno come sempre a guardare la bionda parrucchiera che fa i capelli alle signore in vetrina. Ha sempre magliette nere. Tutti hanno magliette nere là dentro. Ma lei ha sempre magliette scollate. Le lascio un sorriso e torno a lavorare.

Redskins


5 dic 2006

You're beautiful - James Blunt
My life is brilliant. My life is brilliant. My love is pure. I saw an angel. Of that I'm sure. She smiled at me on the subway. She was with another man. But I won't lose no sleep on that, 'Cause I've got a plan. You're beautiful. You're beautiful. You're beautiful, it's true. I saw your face in a crowded place, And I don't know what to do, 'Cause I'll never be with you. Yeah, she caught my eye, As we walked on by. She could see from my face that I was, Fucking high, And I don't think that I'll see her again, But we shared a moment that will last till the end. You're beautiful. You're beautiful. You're beautiful, it's true. I saw your face in a crowded place, And I don't know what to do, 'Cause I'll never be with you. You're beautiful. You're beautiful. You're beautiful, it's true. There must be an angel with a smile on her face, When she thought up that I should be with you. But it's time to face the truth, I will never be with you!

4 dic 2006

Sono sempre le cose che vorrei che determinano il punto della situazione. Non conta dove sei, dove sei stato, dove sarai, ma conta dove vorresti essere, con chi. Qual è il punto nello spazio da cui calcoli le distanze. Qual è il colore che colora i tuoi sogni.
Può un semplice colore cambiare la tua vita?
Sei sempre stato quello che piscia contro un muro nel centro di Roma. Quello che la prima cosa che guarda è il sedere di una donna. Quello che beve due litri di birra. Quello che fuma una sigaretta ubriaco sull’argine del Tevere. Quello che va a dormire alle quattro e si sveglia all’una. Quello che i soldi servono a comprare libri. Quello che il silenzio serve a una donna per fare il suo dovere. Quello che viaggia in treno.
Poi all’improvviso un colore cambia la tua vita. Ma non è solo la sua bellezza. Bellezza che pensi di non aver mai conosciuto. Non è solo questo. Ma è la sua trasparenza. Come guardare attraverso un vetro. Attraverso un paio di occhiali. Le cose vecchie diventano nuove. Non solo nel loro significato.
E allora ci sono cose di cui non hai più voglia. Silenzi che ti scandalizzano. Sigarette che non vorresti aver mai fumato. Parole che non vuoi più aver detto. Ma soprattutto parole che vorresti avere il coraggio di dire. Per trovarti ancora una volta occhi negli occhi. E poter trovare quella sensazione di cui si parla nei libri.
Il problema vero è (o era) che io sono sempre stato innamorato del concetto “donna”. Per cui come un appassionato di moto trovi sempre qualcosa che ti attira. Quel particolare che nasconde la bellezza. Ma poi un giorno ti fermi e ti siedi. Non so spiegare come. Ma qualcosa cambia definitivamente e lasci che il tuo pensiero indugi. Indugi ancora. Ancora un’altra volta. E allora scappi. Hai paura che questa volta ti abbia proprio fregato.

Disco volante

1 dic 2006


Hip hop

Alcuni giorni ti rendi conto che c’è qualcosa di strano nell’aria. Le cime degli alberi si muovono appena. Il cielo promette tempesta. Promette di innaffiare tutto. Eppure fa caldo. Io cammino per le strade di Bethesda, Maryland con solo una felpa addosso. La gente ha lo sguardo basso di chi aspetta qualcosa che non arriverà.
Gli uffici del Bethesda Cares sembrano particolarmente bui. Sheila mi saluta da una finestra, con il sorriso di chi non ha ancora capito perché faccio la strada lunga ed entro dalla porta principale invece di tagliare per la porta si servizio. Il centro è crowed, come sempre quando sta per piovere.
Il mio amico Hip Hop mi promette che morirò per colpa di una sigaretta. Guardando il mozzicone che porta a spasso, ribatto: “you too!” C’è qualcosa di diverso nel suo sguardo. Ma da bravo volontario faccio finta niente è roba per assistenti sociali, non per me che viaggio tra le mansioni di magazziniere, archivista, segretaria, guardia di sicurezza, vedetta del fortino, tuttofare.
Anche dentro c’è qualcosa nell’aria. Old man è al telefono. Parla poco. Sue non c’è e neanche Barbara. Ma per quest’ultima è normale, è venerdì. La mia stanza sembra particolarmente ingombra. Sheila non viene ad impicciarsi. C’è qualcosa che non va oggi. Sistemo le sedie. Prendo cartelle e documenti su cui devo lavorare. Old man mi annuncia che tra few minutes se ne andrà. Lo guardo. Il problema è il suo non il mio. Invado tutto con le carte. Cerca di capire per quanto tempo ancora governerò su quella terra e per ribadire la mia posizione attiro a me tre sedie e le riempio di carte.
La finta calma dell’attesa si rompe. Hip Hop con una tazza di caffè si infila dentro l’ufficio di Sheila. Lascia la porta aperta, come sempre, ci tiene che sappiamo dov’è il suo problema. Ma oggi è più inquietante del solito. Urla. Una sola parola rimbalza ovunque nel silenzio che è sceso nella testa di tutti. Schizofrenico.
Hip Hop è la persona che stabilisce i turni di accesso all’ufficio di Sheila, l’assistente sociale. Lui è il re della zona degli homeless. Se qualcuno entra negli uffici senza il suo permesso, lo viene a prendere e se lo porta via. È l’unico senzatetto che può entrare in ufficio senza che tu debba staccare il tuo sguardo dallo schermo. A meno che non sia venuto per te. Per raccontarti qualcosa. È bipolare. Ma solo perché è troppo allegro per essere depresso come tutte le persone nelle sue condizioni.
Da quando aveva quattordici anni è stato due volte in centri per il recupero delle tossico dipendenze. Sa cosa vuol dire essere rinchiuso. Ho venti anni. Urla. Non vuole essere rinchiuso ancora una volta per colpa di un fucking doctor. Non vuole medicine che lo stordiscano. Sta bene così com’è. Lo guardo di spalle attraverso la porta.