30 set 2005

29 set 2005

Per diritto di cronaca!!!

II Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è pubblicato, tradizionalmente, in concomitanza con la memoria di San Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti (24 gennaio).

Fonte Misna.org

CITTÀ DEL VATICANO 29/9/2005 12.14
ANNUNCIATO TEMA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
Chiesa e Missione, Brief

"I Media: rete di comunicazione, comunione e cooperazione" è il tema annunciato oggi per la 40ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2006. L’argomento scelto da Benedetto XVI – “indica il suo apprezzamento per la capacità dei mass media non solo di far conoscere le informazioni necessarie, ma anche di promuovere una fruttuosa cooperazione" ha detto l'arcivescovo John P. Foley, presidente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, il dicastero della Santa Sede che prepara il materiale sul tema, destinato alle Conferenze episcopali di tutto il mondo. La Giornata delle Comunicazioni sociali, l’unica celebrazione mondiale stabilita dal Concilio Vaticano II, è fissata nella maggior parte dei Paesi, su raccomandazione dei Vescovi del mondo, la domenica prima di Pentecoste (nel 2006, il 28 maggio). L’annuncio dell’argomento viene dato, di consuetudine, il 29 settembre, festa degli Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele, il quale è stato designato patrono di coloro che lavorano nella radio. Per il 24 gennaio è atteso invece il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato, secondo tradizione, in concomitanza con la memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

Soldato

Una macchinetta a gettoni, questo è quello che la gente pensa che io sia. Me ne sto tranquillo a casa quando apro questo vecchio e caro blog e leggo Elena che chiede un altro racconto. Cara mia secondo te io un racconto dove lo trovo? Forse crescono sotto i cavoli? Non è che le storie sono bimbi che scorrazzano per un giardino e tu gli gridi: “Vieni qua!” E loro con la loro brava tuta sporca di terra vengono e ti chiedono cosa vuoi. Non funziona così.
Una volta. Qualche anno fa. Insomma qualche anno fa. Era il 1915. Il mio nome era Gaetano. Lo so che adesso la povera Elena sta pensando: “no, il tuo nome è Massimiliano.” Lo so bene il mio nome. Ma il Dna prima era dentro mio padre, poi dentro mio nonno e poi dentro il mio bisnonno ed ecco che mi chiamo Gaetano. Ero il mio amatissimo bisnonno, immerso completamente dentro il Dna della mia famiglia.
Dicevo. Avevo deciso che non sarei andato in guerra. Adesso questo è un argomento grosso. Solo la parola guerra fa tremare le meningi di molta gente. La parola morte è il sinonimo più vicino. Come la parola silenzio che ci ricorda il vuoto degli sguardi delle persone rapite. Le foto dei giornali. La televisione. E io ero pacifista. Insomma, ero pacifista quanto lo è uno che ha paura di morire. Ma non è che avessi esattamente paura di morire. Era pronto ad affrontare la guerra. Una mattina mentre mi guardavo allo specchio con il pennello in mano per fare la barba mi sono detto: “Ma vale la pena che io muoia?” Parliamoci chiaro, io sono uno di quelli che non muore, ma mettermi in mezzo alle pallottole che ti fischiano nelle orecchie mi sembrava veramente eccessivo.
Mi sposo! Idea brillante. E poi la parte migliore. E qui Elena scopri una cosa che non sai. Fare un figlio che mi avrebbe trattenuto a casa. Sì, lattina, i figli si fanno. Non stanno con le storie sotto un cavolo. Un figlio sarebbe stato il piccolo miracolo che mi avrebbe salvato e trovare una donna, per me, sarebbe stato pure troppo facile, siamo sempre stati belli in famiglia.
Ma quegli statisti matti fecero tutto troppo in fretta e io mi ritrovai con una moglie, un figlio in arrivo e una lettera di chiamata alle armi. Gli occhi di una donna che lacrimano leggermente quando arriva quella maledetta cartolina. Che se l’avete vista fa anche un po’ pena. C’è scritto l’essenziale su una carta grigia. Cara Elena ecco la parte triste della storia. Una bacio sulla pancia della mia donna. Uno sulle sue labbra. La sacca sulle spalle e uno sguardo verso chissà dove e la fantasia già su un treno pieno di soldati che tornano a casa e cantano.
La guerra. Non è come la descrivono. Scarpe scomode. Fango. Una camerata di dialetti diversi che cantano canzoni che non hai mai sentito prima, che ti ritrovi sulle labbra mentre pulisci per la centoduesima volta il tuo fucile. La divisa verde. Che poi a me il verde mi è sempre stato male addosso. Il silenzio militare. La sveglia militare. Una tromba che suona e che detta i tuoi tempi. Le mille lettere e tu aspetti sempre la stessa notizia.
Un giorno. Era febbraio. Lo ricordo bene faceva molto freddo. Una lettera su carta bianchissima. La calligrafia tondeggiante. Solo a guardarla ho gridato: “è nato!” Di corsa dal capitano. “Una licenza!” Ma non era tempo di licenze. Secondo loro era tempo di guerra, ma per me no. Sapevo che i miei vestiti da borghese mi sarebbero serviti. Vestito come per andare al bar lasciai la caserma. Un treno, anche troppo veloce mi portava verso quel piccolo figlio che mi aspettava.
Era quasi marzo ormai. Ero a Roma. Ero nella mia città. Nella mia aria. Incredibile come le case, le strade, la gente sono sempre uguali. Due colpi lenti sulla porta e poi tre veloci. “È Gaetano.” Il mio biglietto da visita. Sulla porta c’era lei con il piccolo Pietro che mi guardava. “Ciao.” Giusto il tempo di mangiare qualcosa come solo la mamma sa cucinare. Giusto il tempo di mettermi in tasca una sua foto di trenta giorni ed ero in cella di rigore.
Ecco, cara Elena, dove volevo arrivare. Massimo della pena senza nessun tribunale. Vuol dire 45 giorni di cella di rigore. Vuol dire che dopo si torna in guerra. Scappare per tuo figlio non è un reato da tribunale, ma devono farti capire che non si fa. Ecco Elena. 15 giorni a pane e acqua. 30 a minestra. Da solo nel buio di un gabbiotto che chiamano cella. Che con la mia testa avrei potuto tirarlo giù a capocciate. Invece me ne sono stato là tranquillo a pensare. A immaginare storie che poi qualcuno scriverà.
Ecco, cara Elena, dove nascono le storie. Da una follia che ti ricorda che sei vivo. Un bimbo che piange nelle tue orecchie attraverso una fotografia. Un treno che ti porta via. Un bicchiere di vino e una risata dentro la tua casa. Con i tuoi. Ecco dove sono.

26 set 2005

Fonte Misna

AFRICA 26/9/2005 9.01
DEBITO MULTILATERALE DEI PAESI POVERI: CANCELLATI 40 MILIARDI DI DOLLARI

Economia e Politica, Brief


Per 18 paesi tra i più indebitati del mondo, tutti del Sud del mondo e 14 dei quali africani, entro la fine dell’anno in corso dovrebbe diventare effettivo un accordo tra Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca Mondiale e Banca africana per lo sviluppo, destinato ad annullare 40 miliardi di dollari del debito multilaterale. I paesi interessati sono: Benin, Bolivia, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Guyana, Honduras, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Nicaragua, Niger, Rwanda, Senegal, Tanzania, Uganda and Zambia. L'annuncio è stato fatto sabato a amargine della riunione dello Fmi e confermato ieri dalla Banca Mondiale. Secondo stime dell'organizzazione inglese Oxfam, per ripagare i loro debiti i paesi poveri spendono ogni giorno 100 milioni di dollari.

25 set 2005

Non ero proprio abituato. Non ero mai stato al centro dell’attenzione. Settimo di nove fratelli. Quando ero piccolo passavo intere giornate nascosto nel piccolo balcone della lavanderia. Portavo con me la mia vecchia giacca azzurra. Giacca che già aveva affrontato lunghi inverni gelidi sulle spalle dei miei fratelli. Mi ci nascondevo sotto. Respiravo meno che potevo. Nessuno si sarebbe accorto della mia assenza.
Una casa con nove fratelli maschi è una specie di colonia costante. C’è sempre qualcuno contento che urla o qualcuno infelice che piange. C’è sempre qualcuno che è stato lasciato, che è stato sconfitto, che è andato male a un compito in classe o che ha perso del denaro. C’è sempre qualcuno che ha una motivazione migliore per rimanere al centro dell’attenzione, mentre te ne stai nascosto sotto una giacca.
Ero così timido che mi vergognavo anche di parlare a tavola davanti ai miei fratelli. Mi era permesso di mangiare sotto il tavolo. Andavo in bagno di notte mentre gli altri dormivano. A volte per non sentirli respirare mi addormentavo in salone. Mi rannicchiavo su una poltrona, credevo di non meritarmi un divano. E dormivo là. Quando dormivo in salone mi concedevo di russare. Russavo forte. Così forte che mi madre mi veniva ad accarezzare la testa. E io, anche se ero sveglio, continuavo a russare forte. Mia madre piangeva. Ero un figlio strano. Ero l’unico di nove fratelli che non sapeva fare un bel niente.
In quel momento mi ritrovavo in piedi. Davanti a trecento persone in silenzio. La sala buia un unico faro puntato su di me. Il cartellone all’ingresso recitava: “Matteo Salieri legge le sue parole.” Avevo poco più di vent’anni e avevo scritto un libro. Non un libro qualsiasi. “Le storie di un bimbo nascosto sotto una giacca”. L’avevo scritto ed era piaciuto. La gente lo leggeva seduta su una poltrona dentro la propria casa e per qualche motivo a me sconosciuto lo consigliava ad altre persone. Era un libro che piaceva.
Ero in piedi davanti a trecento persone che si aspettavano che iniziassi a leggere. In prima fila mia madre e mio padre. Il mio editore. I miei fratelli. Mia sorella Maria aveva portato con sé un suo fidanzato. Dario, credo questo fosse il nome. Una specie d’artista con i capelli lunghi, i jeans dentro gli stivali e una giacca troppo stretta per lui.
Tutti seduti in fila. Uno affianco all’altro. Tutti col naso all’insù. Tutti che volevano sentire per la prima volta la mia voce. La mia voce che narrava, raccontava le mirabolanti storie partorite dalla mia fantasia.
Tutto era iniziato quando mio padre un Natale non sapeva cosa regalarmi. Ero l’unico di nove fratelli che non scriveva la letterina a Babbo Natale. Non sapevo se anch’io ne avessi il diritto. Nessuno mai mi aveva chiesto di farlo e io, semplicemente, non lo facevo. Venne in piena notte. Una di quelle notti che dormivo in salone. Aprì la porta. “Lo so che sei sveglio”. Mi tirai su sulla poltrona, lo guardai negli occhi. Stavo russando come poteva sapere che ero sveglio? “Ho visto una macchina da scrivere nel negozio qua sotto, la vuoi una macchina da scrivere?” In quel momento non capivo bene cosa avrei dovuto farmene di una macchina da scrivere, avevo dodici anni. “Allora la vuoi?” Un attimo di riflessione. “Qualcosa dovrai pur volere…” Qualcosa dovevo volere, ma non sapevo cosa volessi. “La maestra dice che scrivi tanto bene e tua mamma piange quando legge le tue cose.” Lo disse come se non volesse che io sapessi. Non che la mamma piangeva. Lei piangeva anche mentre si lavava i denti. No. Che anche lui piangeva. Che piangeva mentre pensava a quel figlio strano che scriveva meglio di lui. Che piangeva mentre leggeva quelle storie nascoste dietro il mobile dei vestiti. Anche il colonnello piangeva. Anche il colonnello aveva un cuore. Anche il colonnello era dispiaciuto mentre era costretto a schiaffeggiarlo.
“Allora la vuoi?” Non c’era bisogno di parlare. Con lui non c’era mai bisogno di parlare. Certo che la volevo. Certo che volevo quella del negozio sotto casa. Qualcosa. Sapevo fare anch’io. Non sapevo parlare, recitare, giocare a pallone, arrampicarmi sugli alberi. Non ero mai tornato a casa pestato o sporco di fango. Poche donne si sarebbero innamorate di me. Ma finalmente anch’io ufficialmente sapevo fare qualcosa. Anche se non ebbi mai il diritto di tenere la mia macchina da scrivere sulla scrivania. Scrissi tutto sotto il letto, sotto il mio letto. Sulla coperta che Maria mi aveva regalato, tanto lei ne aveva una nuova.
Dietro quel pulpito mi tremavano le gambe. Mi sudavano le mani. E il faro puntato su di me m’imperlava la fronte. Ancora non sapevo come avrei attaccato la prima parola. Sottovoce. Leggermente urlata, per risvegliare la gente dal loro torpore.

24 set 2005

Ecco i miei ultimi visitatori

Venerdì sera.

Sono maledettamente a casa!!!!! Alice, troia e chioccia, mi tiene a sé con i raggi freddi di un monitor piatto. TROIA E CHIOCCIA!!! Perché la tua fine è questa. È inutile che mi guardi così. La tua fine è internet. Una sigaretta rubata in balcone. Un bicchiere di Mirto o di limoncello. I capelli lunghi e spettinati. La musica bassa finché non torna tua sorella a casa. Inutile tutto.
Venerdì maledetto sera a casa. Quando io già mi pregustavo una notte di alcol e sigarette. Di sguardi a donne che non te la daranno mai. Quando da dentro ti esce quell’istinto primordiale di farti fisicamente grande per attrarre la femmina. La quale, giustamente, inclina in avanti il capo per nascondere in un colpo di tosse, un suono a metà tra una risata e un conato di vomito.
Giullare della tua stessa corte: ti vesti, ti radi, magari hai anche lavato la macchina. Ma questa è la serata di quelli che puzzano. Giullare della tua stessa corte: pantaloncini corti, magliettaccia, la doccia l’ho fatta ieri, io questa sera prendo i mezzi. Ops! Non ti hanno avvertito? Questa è la serata della camicia. Ah! Dimenticavo. (Un sussurro). Questa sera gli autobus non passano.
Giullare. Ecco quello che sei. Niente di più o niente di meno. Ti colori le vesti. Magari ti dipingi il viso. Te ne vai allo stadio fiero della tua maglietta nuova. Quella della Roma. Ci hai fatto mettere sopra il numero “40”. E una scritta: “Nonda”. Shabani Christophe. Nato BUJUMBURA nel 1997. Ti ricorda Weah. Speri che ti faccia sognare come Weah. Avresti comprato la Tribuna Monte Mario, ma il portafoglio era vuoto. Hai la tua bandiera senza asta. La tua sciarpetta. La tua maglietta. Hai il tuo posto segreto dove mettere la macchina. E hai ancora quell’aria esterrefatta quando vedi l’Olimpico e quando entri nell’Olimp(ic)o. Ma non l’hai saputo? Shabani Christophe Nonda? Il numero 40? Non gioca questa sera. Niente di grave un raffreddore. Gioca domenica prossima. Abbonato? No. Mi dispiace.
Non sto dicendo che la sfiga si accanisce. Non mi permetterei mai. Non lo sto dicendo. La sfiga non esiste. Esiste la Divina Provvidenza. Ma la sfiga, NO!!!!! Venerdì, sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e giovedì sono tutti uguali. C’è la coppa, il campionato. Magari il mondiale di ciclismo oppure il tour. Ma ogni giorno è uguale all’altro.
Però se hai una fidanzata le cose cambiano. Se sei innamorato magari ti viene voglia di farti sette ore di treno ad andare e sette a tornare per assicurati un futuro. Un futuro qualsiasi. E magari la pianti di dire che vuoi fare lo scrittore. Magari la pianti di fare il coglione.
Con una rompi palle al telefono non hai voglia dell’ottavo shot. Delle terza tequila sunrise. Della seconda birra. Non ti mangi del pollo alle mandorle in una vaschetta argentata, chi ha voglia di fare i piatti, in mutande davanti al computer. Con una rompi palle che ti gira mezza nuda per casa, scodinzolando il suo sederino mentre leggi la posta, il giornale, un libro, ti passa la voglia di essere quello: leggo tutto, basta che leggo.
Diciamolo chiaro. La rompi palle ha un sederino spettacolo. Due occhi chiarissimi. Una voce martellante e acuta che non ti fa dormire. Due piccoli seni che stanno in una coppa di champagne. Anche se preferisci lo spumante. Brut o dolce, o forse brachetto, basta che sia italiano. Un viso da carezze e un collo da mille baci. La rompi palle è stupenda scapigliata di prima mattina e ristrutturata quando scende da casa. Quando lascia che l’ombrello sgoccioli sul sedile di dietro della macchina o sulla tua giacca. Quando odia la barba. Quando adora il tuo faccino sconsolato. Quando inventa un nuovo nomignolo per prenderti in giro. La rompi palle è bella sempre.
Ah! Dimenticavo: non la chiamare mai rompi palle, lo fa per il tuo bene. A questo mondo si può essere vegetariani, ma non si può fumare. Si può uccidere un piccolo feto di tre mesi, ma non si può passare con il rosso alle tre di notte. Ti puoi drogare, puoi bere, puoi rantolarti per terra, ma non puoi essere molesto. Puoi fare del sesso con una donna, ma guai ad innamorartene. Puoi distruggere lentamente la tua esistenza, ma non puoi chiuderla là dov’è. Non puoi dire: “Capo questa è la mia fermata. Grazie. Scendo qua!”

20 set 2005

Fonte: Misna.org

IRAK 20/9/2005 10.54
ALLE STAMPE TESTO NUOVA COSTITUZIONE
Altro, Brief
Le Nazioni Unite stanno per mandare alle stampe cinque milioni di copie della nuova Costituzione irachena. I volumi, una volta rilegati, saranno distribuiti in collaborazione con le autorità irachene in tutto il Paese, così da dare la possibilità agli elettori di prenderne visione prima del referendum di metà ottobre, in occasione del quale i cittadini del Paese arabo saranno chiamati ad approvare o respingere la nuova Carta fondamentale. Le stampe del testo, scritto in arabo e curdo, saranno pronte entro una decina di giorni.[LL]

18 set 2005

Notte bianca

Notte bianca è ballare nella notte. È un tamburo che suona nella folla alle quattro di mattina. Sono due occhi nocciola. C'è sempre qualcosa o qualcuno che ti smuove un ricordo. Poi rincorrerlo. Fino a dove? Infedele Bianconiglio. Infedele narrazione che mi scappa via dalle dita. Eccomi che ballo in un portico al centro di Roma. In mezzo ai marmi bianchi. In mezzo a una folla variopinta di tonalità di grigio e di colori accesi. Tonalità della pioggia che si riflette sulla gente. Eccomi che ballo su una spiaggia bianca della Maldive. I colori dei parei, onore della civiltà che ci circonda. Due occhi nocciola. Porta che modifica il mio stupido vagare. Eccomi ballare senza pensieri. Un tamburo e un fischietto. Gente. Romani. La pioggia ha bagnato la maglieta di una ragazzina infreddolita. Un gelato che colma il solito vuoto. Che colma la solita ricerca di un senso. Perché tenersi stretto un senso a cosa serve?

17 set 2005

Fonte: Misna.org

ONU 17/9/2005 4.48
LE “SPECIALI NECESSITA DELL’AFRICA” NEL DOCUMENTO FINALE DEL VERTICE
Economia e Politica, Standard
All’impegno a “far fronte alle speciali necessità dell’Africa” sono specialmente dedicate due delle 35 pagine approvate da 159 capi di stato e di governo nella serata di ieri (stanotte in Europa) come documento conclusivo del vertice straordinario di capi di stato e di governo riunito per tre giorni a New York. Il testo particolare per l’Africa, tra le pagine 17 e 18, si trova al paragrafo 68, è suddiviso in 9 sottopunti e consta di circa 600 parole in una cinquantina di righe. A una prima lettura non sembra presentare elementi nuovi degni di rilievo, come suggerisce il preambolo: “Accogliamo con favore il sostanziale progresso compiuto dai paesi africani nel rispettare i loro impegni e sottolineiamo la necessità di procedere all’attuazione della Nepad (la nuova partnership per lo sviluppo) per promuovere crescita sostenibile e sviluppo, consolidando la democrazia, i diritti umani, il buon governo, la gestione economica sana e l’eguaglianza tra i sessi, incoraggiando i paesi africani a continuare i loro sforzi in queste direzioni con la partecipazione della società civile e del settore privato…”. Il punto “e” del paragrafo 68 impegna in particolare tutti i paesi dell’Onu a “compiere sforzi per integrare pienamente i paesi africani nel sistema internazionale del commercio, inclusi programmi specifici tesi a costruire capacità commerciali”. Queste 50 righe vanno comunque lette nel contesto dei 178 paragrafi di cui si compone il documento che, dopo i primi 16 riservati a ribadire valori e princìpi dell’organizzazione, riserva gran parte del suo contenuto ad aspetti analitici della lotta alla povertà e alle principali malattie (sottolineando malaria e tubercolosi anche nel titolo del paragrafo 57) e più in generale al tema dello sviluppo e del debito dei paesi poveri non riuscendo però ad andare davvero oltre la sostanza di posizioni già espresse in passato in ambito internazionale. Diritti umani, pace e terrorismo occupano anche non poca parte del testo soprattutto nella seconda parte a partire dal paragrafo 81, riservando in particolare il 116 e il 117 al ruolo delle donne e alla condizioni dei bambini in situazioni di conflitto. A parte le posizioni intransigenti di Cuba e del Venezuela - e il senso di delusione percepibile nei resoconti dei mezzi d’informazione internazionali - il documento costituisce in pratica solo un aspetto del vertice straordinario che ha visto al Palazzo di Vetro il consesso più vasto di esponenti politici internazionali mai raggiunto in occasioni analoghe. La settimana prossima sarà dedicata, per esempio, agli interventi e alle discussioni a livello ministeriale mentre numerosi sono stati e dovrebbero ancora essere i significativi incontri bilaterali, i “faccia a faccia” tra un paese e un altro. In particolare per la riforma dell’Onu e del Consiglio di Sicurezza il vero lavoro comincerà anche dopo la prossima settimana, più avanti nel corso della 60esima sessione dell’Assemblea. Alla MISNA è giunto intanto il punto di vista dell’Associazione italiana delle organizzazioni non governative (ong) in cui tra l’altro si afferma: “Il Vertice mondiale conclusosi ieri a New York, che doveva segnare la svolta decisiva per il processo di riforma dell’organizzazione delle Nazioni Unite, oltre che stabilire un primo bilancio sullo stato di attuazione degli obiettivi di sviluppo del millennio, si è confermato una laconica reiterazione di generiche promesse già ascoltate e non ancora mantenute. E’ necessario, secondo Sergio Marelli, presidente dell’Associazione – che i leader mondiali facciano fronte a questo fallimento e dimostrino il loro impegno nella direzione di una partnership globale per lo sviluppo che va ora recuperata”. (a cura di Pietro Mariano Benni)[MB]

15 set 2005

12 set 2005

Chi sono?

Europei: Italia campione d'Europa




8 set 2005

Paragone


7 set 2005

Come possono esistere donne così?

PostConvegno Meg Frascati.

NON DI MURI HA BISOGNO IL MONDO MA DI PONTI.

 

Sono tornato a casa!!! Sono distrutto e ho un mal di testa formato famiglia. Il cuore gonfio di gioia. FAVOLOSO!!!!!!! Mi sono divertito da matti. Ho fatto me stesso in tutto e per tutto. Niente limature. DIFFICILE. Praticamente impossibile spiegare i salti emotivi che hanno devastato per l’ennesima volta il mio povero animo. Poverino! Crollato sotto i colpi destabilizzanti della semplicità. Perché alla fine sono due occhi che ti guardano con intorno un faccino gentile a cambiare la giornata. A Lasciarti svaccato su una panchina a fumare lentamente una sigaretta, con due sole ore di sonno in corpo. Alla fine non cambia niente perché sai di stare bene e permetti al sole di illuminarti il viso anche se fanno almeno trenta gradi.

Stanza 429. Comodino nell’armadio. Materasso nella doccia. Rete in verticale sul muro. Armadietto e varie ed eventuali coperte-lenzuoli sul terrazzo, dove giacciono i resti degli aghi di pino e di mozziconi trasportati e frullati da una tempesta. Stanza ?????? (la censura serve a proteggere un responsabile). Un palmo d’acqua sul pavimento. Cocci di una bottiglia. Troppa popolazione ristretta in poco spazio.

Troppa popolazione ristretta in poco spazio.

E poi finisce sempre che non puoi stare in piedi a farti gli affari tuoi. Magari a guardare Roma e a scoprire che da lassù si vede San Pietro, anche se non ci abita più Giovanni Paolo. Magari a ripensare alle parole dette dai bambini. Alla loro semplice, ma efficace fantasia. “Il colore delle tue pelle è come il colore della tua maglietta… Indifferente!” Che poi se i maschi vanno in giro con magliette rosa non so quanto sia realmente indifferente.

Troppa popolazione ristretta in poco spazio.

Mangi dieci volte di seguito pasta al pomodoro. Poi sempre le stesse cose. Pollo, pizza, lasagne. Sempre lo stesso vino. Dello stesso colore e sapore di sempre.

Troppa popolazione ristretta in poco spazio.

 

GRAZIE A TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!!