27 ott 2006

Poi all’improvviso ti ritrovi dentro un film.





Poi all’improvviso ti ritrovi dentro un film. Un film già visto. Dove i colori sfumano gli uni dentro gli altri. I grigi. I rossi. I colori smunti di insegne non illuminate dai raggi il sole. Una tazza di cartone bollente stretta tra le mani. Il nero del caffè che cerca di scaldarmi dentro. Per un momento sarebbe meglio se fosse giallo fosforescente. C’è bisogno di un colore in questa mattina dimenticata da Apollo.
8011 Old Georgetown Road. Bethesda. Christ Evangelical Lutheran Church. Una grande Chiesa lontana dal mondo. Ci arrivo con un piede malconcio per freddo e scarpe sbagliate. Ci arrivo con la vescica piena. Che devo pisciare è l’unica cosa certa. Apro una porta bianchissima e m’infilo dentro. Il primo istinto è quello di gridare. “C’è qualcuno?” Ma aspetto. Il tipico odore di mensa per poveri mi entra nel naso. Viene dal piano inferiore. Aspetto anche a scendere. Voglio vedere se c’è qualcun altro prima di affrontare un vecchio cuoco nero e incazzato.
Frugo il piano dove sono. Restroom. Mi avverte un’insegna. Forse non ho bisogno di una Chiesa, ma di un cesso. Guardo la porta e gli dico che sto arrivando. Devo essere sicuro che sul piano non ci sia nessuno. Non puoi uscire da un bagno e dire: “Massimiliano, nice to meet you!” Non puoi decisamente presentarti a qualcuno che ti sta aspettando tirandoti su i pantaloni. O cercando di rinfilarci dentro la camicia.
Da qualche parte c’è una specie di asilo. Fuori bimbi giocano e ci sono disegni alle pareti. Case. Perché diamine i bimbi disegnano case? Una ragazza nera spinge un piccolissimo kid bianco come il latte.
Questo piano è completamente vuoto. Do un occhio alle scale che salgono e vado di corsa a pisciare. Uscendo mi rendo conto che la porta di fronte al bagno è un enorme sala addobbata per riti sacri protestanti. Chissà se questo suolo è stato benedetto. D’istinto cerco il tabernacolo. Ma qua non c’è Gesù, almeno non come sono abituato a vederlo.
M’infilo al piano di sotto. Qualcuno mi aspetta. O almeno dovrebbe. Apro la porta da cui viene il pessimo odore di cibo americano cucinato male. Dietro, un enorme sala da pranzo vuota. Tavoli apparecchiati male. Una palco con un sipario aperto. Per un momento sorrido. Le mense per i poveri sono uguali in ogni angolo del mondo. Sulla sinistra quattro ragazzi mangiano aiutati dai volontari. Qualcun altro guarda la televisione. Un enorme uomo nero senza distogliere lo sguardo dallo schermo mi grida. “May I help u, man!” Perché non mettono un punto interrogativo alla fine delle frasi. Mi presento e mi spiego. Almeno cerco di spiegarmi.
Mi ritrovo con un foglietto in mano con su scritto un indirizzo. Un volontariato che comincia lunedì e un magazzino di vestiti che mi aspetta. Prendo le mie pive. Le rificco dentro un sacco. E me ne ritorno in superficie. Un asso di cuori mi è rimasto impresso nella retina. Un vecchio giocava a carte. Lunedì lui ti aspetterà al magazzino. Mi ha detto il grande uomo nero mentre cercava di ricordarsi come si scrive Church in inglese e io lo guardavo perplesso. Il vecchio che gioca a carte mi aspetterà. C’è sempre qualcuno che mi aspetta.
Nei film tutte le mattina sorge il sole. Ma qua il sole oggi si è dimenticato di sorgere. Si è dimenticato di scaldarmi le ossa. Di asciugare le strade dalla brina. Oggi il sole si è dimenticato di someone. Sì, di quel qualcuno. Come quale? Quello che ha bloccato la metro. “Someone has jumped on the track in Bethesda Station.” Quello che mi ha costretto a imprecare. “This train don’t stop at Bethesda station.” Mezz’ora di autobus contro due minuti scarsi di metropolitana. Neanche il tempo di sedermi. Neanche il tempo di capire che stai ancora viaggio. Perché stai sempre viaggiando. E il film lentamente cambia trama, genere e storia. E rischia di diventare ancora una volta una commedia se non stai attento. E diventa ancora una volta una tragedia se sei là pronto a cogliere i segni. Ma io preferisco che diventi balle spaziali. E mi guardo l’ennesimo sedere, che il buon Dio ha creato per miei occhi, salutarmi scodinzolando.

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