29 mag 2006

0% affinità?


Ecco a voi le donne!!!

io: magari sono bello come Brad Pitt
kiara: nn mi interessa
io: magari sono ricco come bill gates
kiara: qst mi interesserebbe di + ...
io: posso dire una cosa volgare?
kiara: si
io: magari ce l'ho lungo come un boa
kiara: nn mi interessa...
io: tra soldi, bellezze e pisello, preferisci i soldi?
kiara: diciamo ke le prime due le trovi + facilmente e la terza è 1 pò + difficilmente
io: quindi se io fossi ricco da fare schifo ci verresti con me?
kiara:nn lo so, ma il mio piano è cazzeggiare fino a 3o anni e poi sposarmi uno ricco...
io: ottimo piano
kiara: grazie
io: prego, solo che per realizzarlo devi essere gnocca
kiara:no, basta essere affacsinante...
io: no, devi essere gnocca
Kiara: mi trovo uno 1 pò ceco...me lo rigiro km mi pare e poi me lo sposo

20 mag 2006

Gli altri soffrono in salita e Invan Basso ride....

Questa è una di quelle lettere che non si leggono velocemente. È una di quelle che stampi e te la porti dietro. Magari sei in macchina con qualcuno che guida. Silenzio per la fatica del giorno. Guardi fuori dal finestrino e tiri fuori quel foglio che hai piegato in quattro. Finalmente hai qualche minuto per leggere. Oppure te la porti dietro appena stampata. La leggi al tavolo mentre fai colazione. Dopo che hai raccolto le cose che ti piacciono di più dal buffet dell’ennesimo albergo. La leggi mentre giri il cucchiaino nella tazza.
Domenica 14 maggio. Arrivo di tappa: Passo Lanciano. Subito nella testa mi si è aperta una voragine di pensieri. Di ricordi. Un nome improvvisamente riapre un mondo di passeggiate, di salite. Di montagne. Avevo una quindicina d’anni quando passavo alcuni giorni d’estate a godermi l’aria buona in quei boschi. Passo Lanciano. Non posso non andare. Conosco quelle curve come le scale di casa mia.
La domanda che puntualmente ti viene posta mentre prepari lo zaino è: “Perché ci vai?” Perché fare quattrocentocinquanta chilometri e passa tra andate e ritorno, arrampicarsi per una lunghissima salita, solo per vedere “dieci secondi di tappa”? La risposta prima di andare è difficile. Ma quando torni diventa facile. Non ho fatto tutta la strada per vedere dieci secondi tappa, ma per urlare a pieni polmoni: “Vola Falco!” E dura molto meno di dieci secondi. Per quell’istante in cui Savoldelli è al massimo dello sforzo e sembra aver sentito. Sembra essere contento per un solo istante. Ecco perché.
A colazione mangi qualcosa, ma non troppo. Poi ti metti in macchina. Inizia il viaggio. Inizia sempre qualcosa che ti aspetti ma non conosci e non sai questa volta come arriverà. Cosa succederà. Con chi chiacchiererai per ammazzare l’attesa. Con chi scambierai opinioni. A chi urlerai per sapere i risultati delle partite. Qualcuno si girerà e ti dirà: “il Falco è in fuga, è solo, ha staccato tutti.” Questo immagini mentre l’asfalto dell’autostrada scorre sotto la tua macchina.
Inutile dilungarsi sul resto. Tutto si riduce a quando i corridori arrivano. Mi sono piazzato ai duecentocinquanta. Per un motivo molto semplice. Ho pensato: “quando guardo le tappe, chi invidio di più?” Mi sono piazzato ai duecentocinquanta. Abbastanza vicino all’arrivo da vedere chi alza le braccia. Abbastanza vicino alla curva da non capire subito chi sta arrivando. Abbastanza vicino alla curva da sperare che la voce sbagli e sia il Falco a spuntare. Dal lato stretto della curva. Perché i corridori si avvicinano per tagliare. E posso far sentire la mia voce.
Vola Falco.
Perché poi chi se ne frega di come è arrivato. Era là a un metro da me. Io ero felice mentre facevo la strada a piedi per tornare a casa. Mentre m’infilavo nei sentieri di montagna per tagliare la strada principale. Chi se ne frega. In fondo sono felice che Basso abbia vinto. In fondo sono felice di aver visto i corridori. Anche quelli che hanno fatto più fatica. Di aver visto le ammiraglie. I giornalisti. La gente. Di aver respirato aria.
Mentre sei in macchina. Spunta uno striscione con scritto arrivo. Nell’aria. Sospeso al nulla. Alzi le braccia. Hai vinto. Hai vinto con Basso. Hai vinto col Falco. Non prendetemi in giro. Non sto dicendo che Basso ci rappresenta tutti o cose così. Io tifo con tutto il mio DNA Paolo. Ma la strada che ho percorso. La fatica per salire in cima e per tornare indietro è pari a quella dei ciclisti. Quando entri a casa. Mangi e crolli a letto.
Ivan se hai uno sponsor sulla maglietta è perché anch’io faccio la tappa, la prossima volta regalami il cappellino!

17 mag 2006

16 mag 2006

Questa è una di quelle lettere che non si leggono velocemente. È una di quelle che stampi e te la porti dietro. Magari sei in macchina con qualcuno che guida. Silenzio per la fatica del giorno. Guardi fuori dal finestrino e tiri fuori quel foglio che hai piegato in quattro. Finalmente hai qualche minuto per leggere. Oppure te la porti dietro appena stampata. La leggi al tavolo mentre fai colazione. Dopo che hai raccolto le cose che ti piacciono di più dal buffet dell’ennesimo albergo. La leggi mentre giri il cucchiaino nella tazza.
Domenica 14 maggio. Arrivo di tappa: Passo Lanciano. Subito nella testa mi si è aperta una voragine di pensieri. Di ricordi. Un nome improvvisamente riapre un mondo di passeggiate, di salite. Di montagne. Avevo una quindicina d’anni quando passavo alcuni giorni d’estate a godermi l’aria buona in quei boschi. Passo Lanciano. Non posso non andare. Conosco quelle curve come le scale di casa mia.
La domanda che puntualmente ti viene posta mentre prepari lo zaino è: “Perché ci vai?” Perché fare quattrocentocinquanta chilometri e passa tra andate e ritorno, arrampicarsi per una lunghissima salita, solo per vedere “dieci secondi di tappa”? La risposta prima di andare è difficile. Ma quando torni diventa facile. Non ho fatto tutta la strada per vedere dieci secondi tappa, ma per urlare a pieni polmoni: “Vola Falco!” E dura molto meno di dieci secondi. Per quell’istante in cui Savoldelli è al massimo dello sforzo e sembra aver sentito. Sembra essere contento per un solo istante. Ecco perché.
A colazione mangi qualcosa, ma non troppo. Poi ti metti in macchina. Inizia il viaggio. Inizia sempre qualcosa che ti aspetti ma non conosci e non sai questa volta come arriverà. Cosa succederà. Con chi chiacchiererai per ammazzare l’attesa. Con chi scambierai opinioni. A chi urlerai per sapere i risultati delle partite. Qualcuno si girerà e ti dirà: “il Falco è in fuga, è solo, ha staccato tutti.” Questo immagini mentre l’asfalto dell’autostrada scorre sotto la tua macchina.
Inutile dilungarsi sul resto. Tutto si riduce a quando i corridori arrivano. Mi sono piazzato ai duecentocinquanta. Per un motivo molto semplice. Ho pensato: “quando guardo le tappe, chi invidio di più?” Mi sono piazzato ai duecentocinquanta. Abbastanza vicino all’arrivo da vedere chi alza le braccia. Abbastanza vicino alla curva da non capire subito chi sta arrivando. Abbastanza vicino alla curva da sperare che la voce sbagli e sia il Falco a spuntare. Dal lato stretto della curva. Perché i corridori si avvicinano per tagliare. E posso far sentire la mia voce.
Vola Falco.
Perché poi chi se ne frega di come è arrivato. Era là a un metro da me. Io ero felice mentre facevo la strada a piedi per tornare a casa. Mentre m’infilavo nei sentieri di montagna per tagliare la strada principale. Chi se ne frega. In fondo sono felice che Basso abbia vinto. In fondo sono felice di aver visto i corridori. Anche quelli che hanno fatto più fatica. Di aver visto le ammiraglie. I giornalisti. La gente. Di aver respirato aria.
Mentre sei in macchina. Spunta uno striscione con scritto arrivo. Nell’aria. Sospeso al nulla. Alzi le braccia. Hai vinto. Hai vinto con Basso. Hai vinto col Falco. Non prendetemi in giro. Non sto dicendo che Basso ci rappresenta tutti o cose così. Io tifo con tutto il mio DNA Paolo. Ma la strada che ho percorso. La fatica per salire in cima e per tornare indietro è pari a quella dei ciclisti. Quando entri a casa. Mangi e crolli a letto.

Ivan se hai uno sponsor sulla maglietta è perché anch’io faccio la tappa, la prossima volta regalami il cappellino!

15 mag 2006

Vita

W IL GIRO D'ITALIA!!!!!!!!!!!


12 mag 2006

9 mag 2006

Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

3 mag 2006

Quattro ore seduto su una sedia guardando quel maledetto telefonino. Ho sempre avuto la convinzione di poter percepire attraverso le onde del mio cervello quando un cellulare sta per squillare, ma se fosse così avrebbe dovuto suonare almeno cento volte. Quattro ore. La magia sta dietro a due occhi azzurri. Anzi, dietro a due occhi azzurrissimi. Di quel colore dei mari tropicali. Che vedi il fondo, ma sai perfettamente che l’acqua è di quel azzurro.
Ci sono cose che pensi possano trasformarsi in soluzioni e invece si ammucchiano insieme in una piccola catasta, come i vestiti sporchi nella mia stanza. Prendo questa catasta e la butto nel cesto dei panni. Prendi la soluzione/problema e la scarichi nel cesso. La guardi girare e invece rimane a galla come il mozzicone di una sigaretta. Vabbè ci penserai.
La posizione di chi guarda un cellulare è con la testa fra le mani. Ogni tanto tocchi un tasto, il video si accende e tu fuggi come se ci fosse un serpente. Ritrai la mano velocemente. Non vuoi toccare troppo. Con quella atavica sensazione che la tecnologia stia sempre per esplodere. Che stia sempre per avvenire un danno imminente che tu non fai altro che accelerare.
Quattro ore. Sono un tempo lunghissimo e poi neanche così lungo. È il tempo che un treno ci mette per portarmi da Roma a Bologna o a Pescara. È il tempo che ho passato seduto dentro una stazione ad aspettare la mia coincidenza perduta per andare a Trieste. È il tempo che ho atteso in assenza di vento sdraiato a largo su di un catamarano. Quattro ore. Non è neanche il tempo che passa tra la prima e l’ultima ora a scuola. Il tempo del tema della maturità. Non è poi così tanto. Non dimenticate occhi azzurri e un sorriso. Una risata.