6 feb 2006

Appunti di viaggio.

Neve. Finalmente neve. Silenzio dentro lo scompartimento del treno. Ancora una volta in viaggio. Ancora una volta in fuga. Mi siedo nel mio posto senza pensare e fare niente. "Ma Gloria non vuole mai fare niente!!!!!!!!!!"
I pensieri volano veloci rimbalzando come una pallina da tennis. Roma. Trieste. Padova giù fino in Calabria e poi di nuovo su a Milano. Per ogni posto una persona, per poi essere ancora solo in un viaggio lunghissimo in fuga. "Ma Gloria viene a cena?"
Fuggire sempre dalle stesse banalissime cose, persone, eventi, luoghi. Così banali che ormai mi sembra quasi stupido continuare ad indugiarci. "Ma allora vuole venire o no a cena?"
Gloria è bionda, alta. Non so dirvi di dove, ma non credo che sia del sud. Nord. Nord-est. Boh!!! Lascia che tutto le scivoli lentamente sulla pelle. Pelle che copre stratificando incomprensibili firme. Psicologa in erba e con un anello al dito che parla solo di una promessa e non di una realtà.
Gloria ha preso il posto di una signora anziana. Capello bianco ed appena scappata da un uomo che voleva farla sua per l'ennesima volta. La signora anziana ha preso il posto di un operaio rumeno. Zigomi spigolosi. Guance incavate. Mani rovinate e corporatura da ciclista pre-guerra mondiale.
Prendere il posto. C'è sempre qualcosa che prende il posto di qualcos'altro. Un pensiero. Un chiodo. Una donna. Un treno. Un silenzio. E poi io m'innamoro ancora del ticchettio delle mie mani che corrono veloci sulla tastiera. M'innamoro di quella sensazione che mi scivola dentro quando mi viene un'idea. Mi innamoro del mio scrivere che è solo nel silenzio di un'altra fuga.
Roma. Orvieto. Firenze. Prato. Ora. 18:45. Poi Bologna. Padova. Trieste.


Un viso orientale riflesso nel finestrino. Sono appena sveglio. Non so, forse a Rovigo o a Ferrara, è salita una ragazza asiatica. Molto più giovane di me. Molto più carina di me. Già dorme. Non ho avuto neanche il tempo di accorgermi che è salita che già dorme nascosta in un giaccone troppo grande per lei, con delle cuffie altrettanto enormi nelle orecchie.
Io sono perso nei miei pensieri onirici che seguono il solco segnato dalla musica che martella i miei timpani. Vecchia abitudine di tenere sempre il volume al massimo delle sue possibilità. Pensieri che mi portano dalla città che sto lasciando verso Roma.
"Sei fiero di me?" " Certo che sono fiero di te!" Parole che ho ripetuto anche troppo spesso. Ma poi chi ha voglia di essere fiero di qualcun'altro?
Soprattutto quando stai tornando a casa dall'ennesima fuga?
Fuga parola di cui troppo spesso abuso il significato.
"Vieni da me e fammi sentire che sono solo mie piccole paure."
Fuga. Perché poi il senso è quello di prendere tutto e andar via lontano, per il principio che i pensieri fanno fatica a venirti dietro poiché non sono abili camminatori, almeno molto meno di quanto siano scavatori di cervelli umani.
Il sole si riflette sul viso della ragazza che dorme davanti a me, lasciandomi nel buio dell'ombra. Facendomi venire voglia di scattare una fotografia, di dipingere un quadro, di innamorarmi ancora una volta. Lasciare che il mio stomaco devastato dagli acidi abbia un attimo di tregua. Lasciare che il vuoto prenda senso. Stare per un'ora a guardare una sconosciuta e far finta che sia la mia fidanzata. Immaginarci insieme al cinema mano nella mano e la sua testa poggiata sul finestrino, poggiata, invece, sulla mia spalla.
Lasciare che la fantasia prosegua il suo percorso senza ostacolarla, lasciandola andare fino a casa. Fino ad un letto ancora sfatto dalla mia partenza, un bicchiere di vino fresco. Fino al suo viso adorante mentre entro nella stanza. Nuda sul letto. la guardo con la testa di tre quarti dopo tutto nel mio sogno ad occhi aperti la amo come fosse da sempre la mia fidanzata.
Poi pensieri scappano via di nuovo. Il letto sfatto. Casa. Il bisogno di silenzio e solitudine, dopo le serate passate in piazza a bere sprizt. Dopo aver cambiato un letto al giorno, dopo aver mangiato piatti tipici e piatti mondialmente riconosciuti.
Tornare è tirare le fila: Dei libri che ho portato non ho letto una pagina. Parole scritte, poche. Marta mi manca ancora un casino. Soldi nel cellulare finiti. Visi, posti e appunti mnemonici troppi, come al solito. Momenti da solo a lasciar scorrere il tempo, almeno sette di cui due memorabili.
Adesso dovrei spingermi indietro al momento in cui Marta mi lascia, ai giorni nel nord Italia che mi hanno portato a scrivere ora su questo treno. Dovrei parlarvi di tutto questo.
Invece per prima cosa una domanda: perché le donne hanno il viso triste e disperato? Non sto dicendo che tutte le donne lo hanno. Sarei un pazzo. Ma molte sì. Troppe. Cercano in tutti i modi, con i loro vestiti goffi, di nascondere la loro bellezza e guardano fuori dal finestrino co la tristezza di racconti e poesie di altri tempi.
Marta, come spero sia chiaro dalle mie parole precedenti, è scappata via. Ha preso le sue cose intellettuali e sentimentali e se ne andata. Eppure mentre cercava la sua libertà e "felicità" aveva il volto colmo della tristezza delle donne. Quella che tenta di nascondere il fatto che ti stanno calpestando le aiuole per l'ennesima volta, ma questa volta non con la meticolosa attenzione del tempo, distruggendo solo i fiori che ti stanno più a cuore. Questa volta con la furia con cui romani radono al suolo Cartagine e spargono sale per impedire anche al più innocuo filo d'erba di crescere e farsi di nuovo spazio.

Guardare la vita e sentirsi in difetto. Arrivare a Firenze S.M.N. Firenze "Se Mo' Nevica."

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