6 gen 2006

È un problema di sfumature.

È un problema di sfumature. Diciannove minuti. Aventino, San Saba. Fiumicino aeroporto, Leonardo da Vinci. La sensazione della notte che ti corre vicino. Grazie a Dio ci sono i semafori. Il motore respira. Io respiro. Poi mi volto, la guardo raggomitolata sul sedile e mi viene da sorridere. Il limite sono le nove e mezza. Ho lasciato San Saba alle 21:07. Guardo l’orologio. Troppa strada. Troppo poco tempo. Non ho il coraggio di accendere lo stereo. Il sottile rombo del motore moderno. Il sottile brusio della mia concentrazione. Il sottile borbottio contro i romani che guidano con i tempi sbagliati.
Freno all’improvviso. Una Ka mi taglia la strada. “È colpa sua che non sa quello che fa.” Rispondo: “è colpa sua che è uno stronzo”. Ora ho abbandonato l’intrigo dell’Aventino per lasciar correre il mio proiettile grigio attraverso le strade a scorrimento veloce. E anche i miei pensieri vanno a scorrimento veloce. Come nei film. Fotogrammi. Sensazioni più che immagini. La mia mano che stringe la sua. Il suo odore. Le sue parole. La cadenza di quell’isola bella, ma lontana.
Freno. Accelero. Prima. Seconda. Terza. Quarta. Quinta. 150. Le avevo detto di tapparsi gli occhi. Ma guarda il contachilometri. Servosterzo. Servofreno. Compagni di avventura. Le lancette. Posso vedere il suo viso riflesso nel vetro, quando mi volto per vedere che c’è a destra. Butto la macchina dentro con prepotenza. “Certo che si può sorpassare a destra.”
Adesso è difficile da spiegare. Pensate a me. Avevo immaginato mille volte quel saluto all’aeroporto. Sapevo perfettamente che sarebbe stato un bacio lungo sulla guancia. Lungo anche troppo. Sapevo che l’avrei guardata andare via attraverso i vetri, ma non sapevo che ci sei sarei arrivato a 170. Con la machina sempre sopra i cento. Anche nel tratto dove devi scegliere. Arrivi o Partenze. Nazionali o Internazionali. Magari intercontinentali. Avrei voluto fare un discorso. Non con qualcosa di particolare da dire, ma magari per sembrare brillante. Divertente. Quei discorsi che quando vedi Roma dall’oblò dell’aereo ci ripensi e ridi. E il passeggero vicino ti sorride. Magari è una signora. Sessantenne e sa perfettamente quello che stai provando dentro. Lei lo prova tutti i giorni mentre lo sente cantare in bagno. Quella stupida canzone. Da quarant’anni. Sempre la stessa.
Sempre la stessa. Il punto è questo. Quando qualcosa è sempre lo stesso ed è sempre stupendo. Raggomitolata sul sedile delle mia macchina. Seduti su un marciapiede, nascosta dentro di me. A piazza della Pilotta. Sul corso. Al Quirinale. Al Campidoglio. Sempre. A capodanno. A Seiano. A Frascati. A Roma. Su quella stupenda terrazza siciliana. Nel buio. Quando una mente sana avrebbe detto è ora che ci provo. Ma una mente malata come la mia, anche se obnubilata dall’alcol, rimane là a guardarla e a pensare: “Quanto è bella!!!”

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