5 giu 2006

Mugello.

La vita, a volte, prende tinte incredibili di azzurro. Che diventa il giallo di una moto lanciata ai trecento all’ora. Il nero dell’asfalto. Il nero del sonno. 700 km. Fino in Toscana e indietro in un solo giorno. Ho visto le moto correre. Ho preso il sole seduto in macchina. Ho studiato Gandhi e l’inquinamento atmosferico, dei mari e quello acustico. Monossido di carbonio. Particelle sospese. Idrocarburi. Fosfati. E quant’altro.
Guardavo la notte da dietro il volante. Niccolò semplicemente dormiva lasciandosi trasportare. Pensavo a Valentino Rossi che se ne va via dentro un elicottero, mentre io sono qua attaccato al mio volante. Mentre io lascio scorrere una lingua di cemento sotto le mie gomme. Con il leggero ronzio di un motore moderno. Con il leggero silenzio di un bambino che dorme. E sogna di esserci lui su quella moto lanciata per tutto il circuito.
Samarcanda. La guerra è finita. Bruciano le divise. Eppure c’è un viso che mi guarda in mezzo alla folla. Un viso nero di una donna cattiva. Bisogna andar via, correre ancora. Lasciare che un destriero giallo come il lampo mi porti via lontano. Giallo come una moto. Giallo come la macchina che immagino di guidare. Perché di notte la carrozzeria può essere di qualsiasi colore.
Giallo come il colore della vita. Giallo perché tutto quello che è giallo è una figata. Giallo come il colore con cui dipingerei la mia vita. Ma anche un po’ di azzurro. Come la tonalità che ha preso domenica la mia vita. Quella tonalità di azzurro cielo sereno, con macchie di nero. Cirri. Cumuli. Nembostrati. Stratocumuli. Striature o pois. Smagliature. Imperfezione. Come sbagliare una curva e finire quinti.
700 km. E l’unico desiderio, l’unico che mi avanza nella testa, è tornare a casa stravolto e trovare qualcuno che ti ama e ti dica. “Come è andata?” “Sono troppo stanco ne parliamo domani.”




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